Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

lunedì 14 ottobre 2013

Sulla storia poche storie




Ogni volta che mi trovo ad introdurre il programma di storia in una classe prima, pongo la stessa domanda: 

Perché studiamo la storia?

 La risposta che ottengo è sempre la stessa, immediata, forse anche spontanea perché sentita tante volte, ma pur sempre piuttosto retorica:

Per imparare dal passato e non ripetere nel futuro errori già compiuti in altre epoche”.


Ma alla mia domanda successiva: 


Ma è proprio vero che l’uomo impara dal passato? 

quasi sempre arriviamo alla conclusione che purtroppo non è così. 

Eppure, io ribadisco, studiare la storia è fondamentale, perché come scrive Polibio (storico di lingua greca del II secolo prima di Cristo), lo studio della storia pragmatikè (cioè delle cose che gli uomini hanno fatto; insomma la storia politica) è kallìste paidèia (= ottima formazione per un essere umano).

Studiare la storia, dunque, serve a migliorare la nostra vita, serve a renderci migliori. Nella tesi di Polibio, però, sono contenuti, come dati di fondo, alcuni principi senza i quali la tesi stessa crolla. 
Anzitutto l’autore, come tutti gli antichi greci, dà per scontato che ogni essere umano voglia migliorarsi; in secondo luogo che la paidèia sia appunto non un accumulo di conoscenza ma un processo formativo inteso a migliorare gli uomini; infine che trarre insegnamenti dai propri errori si può ma è molto faticoso e in ogni caso i nostri errori possono essere molto pericolosi per noi, perciò è preferibile trarre insegnamenti dagli errori che sono stati fatti da altri prima di noi.
Se, però, crediamo che il passato non ci riguardi o se crediamo che la kallìste paidèiasia non quella che ci aiuta a migliorare ma quella che mi insegna ad avere il successo materiale qui ed ora, allora la storia si riduce ad una materia scolastica che si studia, quando si studia, solo per avere un voto sulla pagella tra gli altri voti. 

Ancora una domanda, a dire il vero la più frequente obiezione che viene posta da studenti giovani: 

Perché dobbiamo perdere tempo con i Greci, i Longobardi e i Normanni e non studiamo la storia del Novecento, di questi ultimi anni? Quando ascoltiamo il telegiornale non capiamo niente!” 

L’obiezione è interessante.


Il programma di storia del biennio della scuola superiore prevede lo studio delle antiche civiltà dalla Preistoria  al XIV secolo (sic!).
Come insegnante  mi trovo quindi ad affrontare non solo questo immenso programma, da svolgere in pochissime ore settimanali, ma anche la obiezione di cui sopra.


La storia antica è, tranne rarissime eccezioni, la più lontana dalla sensibilità e dagli interessi dei giovani, eppure è importante comprendere che, per capire la storia recente, bisogna partire dall’inizio, dalle origini; studiare il XX secolo senza aver affrontato le antiche civiltà sarebbe come pretendere di costruire una casa partendo dal terzo piano, ignorando le fondamenta e i piani inferiori.



Le civiltà antiche hanno posto le basi sociali, politiche ed economiche del mondo di oggi, e termini nati nell’antica Atene o nella Roma repubblicana fanno ancora parte del nostro linguaggio quotidiano.C'è da stupirsi, allora, quando si scopre che tanti problemi di cui ogni giorno sentiamo parlare in tv hanno in realtà origini antichissime: dal conflitto arabo-israeliano alla crisi economica del meridione d’Italia.

Mi piace concludere questo pensiero riportando lo stralcio di una lettera inviata da Antonio Gramsci (spunto di ricerca) al figlio Delio:


Carissimo Delio, 
mi sento un po' stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono fra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?
Ti abbraccio.
Antonio



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