Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

mercoledì 17 gennaio 2018

Approccio al Decadentismo









Appunti della prof CdC - IL DECADENTISMO


Se il Naturalismo aveva avuto come presupposti ideologici il Positivismo e le teorie evoluzionistiche, il Decadentismo fu in modo diretto o indiretto condizionato dal pensiero di almeno tre grandi personalità: Friedrich Nietsche, Sigmund Freud e Henry Bergson, il filosofo francese dell’intuizionismo. Queste tre personalità erano, seppure in maniera diversa, critiche rispetto alle scienze positive.

Nietsche affermava che i valori assoluti in cui potersi unanimemente riconoscere erano “morti”, che non è dato conoscere la realtà ma solo l’apparenza, che l’essere umano è dominato da istinti e che, in conseguenza di questo, ogni morale (soprattutto quella cristiana) si basa su principi astratti e lontani dall’essenza umana. In Così parlò Zarathustra egli formulò il concetto di oltreuomo, cioè di un uomo nuovo, libero dai condizionamenti da parte di ogni idea di trascendenza e di legge imposta dall’alto. L’oltreuomo è colui che si impegna a realizzare totalmente se stesso, superando tutti gli ostacoli, compresi quelli della morale, se la loro funzione è quella di reprimere i desideri e le aspirazioni individuali a vantaggio dell’opinione pubblica dominante. Nella Genealogia della morale suggerì di sottoporre a critica i valori morali in quanto serie di divieti che mirano a impedire la libera esplicazione delle potenzialità degli individui più dotati, a favore dei mediocri. Pertanto rifiutando l’idea che la storia si sviluppi in modo progressivo e riproponendo l’antica legge dell’eterno ritorno, già elaborata dai Greci, Nietsche afferma che dal tramonto dell’uomo rinascerà l’oltreuomo, capace di ricostruire su basi nuove la storia.

Freud, dal canto suo, affermava che una parte della nostra mente ci è sconosciuta e che questa parte, l’inconscio, ci guida nelle nostre azioni in maniera altrettanto potente quanto la ragione. La scoperta dell’inconscio metteva in crisi le certezze della razionalità e del Positivismo quanto l’affermazione di strutture mentali ben lontane dalla ragione e dalla consapevolezza, come l’Es e il Super-Io. freud aveva indicato con questi nomi le due sfere della psiche umana che corrispondono rispettivamente all’inconscio (Es) e al sistema di valori, ideali e obblighi morali che ognuno interiorizza attraversa l’educazione (Super-Io), per distinguerli dalla parte cosciente di cui siamo sempre consapevoli, l’Io.

Bergson, infine, concepiva il mondo come animato da una forza vitale (vitalismo) che è all’origine della grande varietà di tutto quello che esiste. Lo strumento che permette all’uomo di conoscere questa energia creatrice non è la ragione, ma un’altra facoltà, l’intuizione. L’aspetto del pensiero di Bergson che più ha influenzato la produzione artistica fu la sua distinzione tra il tempo della scienza, una successione di momenti tutti uguali che possono essere rappresentati come una linea che si distende nello spazio (tempo spazializzato), perfettamente misurabile, e  il tempo della coscienza. Quest’ultimo è durata pura non inquinata dall’idea dello spazio, un flusso continuo di attimi nei quali il passato e il futuro coesistono nel presente, il primo come memoria, il secondo come proiezione. Questa concezione del tempo interiore di Bergson fu uno stimolo per i romanzieri del ‘900 per rivedere alcuni aspetti della tecnica narrativa che quelli dell’ ‘800 non avevano messo in discussione, dal momento che il concetto lineare del tempo aveva reso per loro normale raccontare le vicende secondo un procedimento logico-cronologico.



Il Decadentismo è un complesso fenomeno culturale che nasce in Francia intorno al 1880 e si diffonde negli anni successivi in tutti i principali Paesi europei. Gli anni successivi al 1870 vedono sempre più svuotarsi di significato gli ideali romantici del Risorgimento, mentre le grandi potenze europee gareggiano nelle carsa al colonialismo o si scambiano cauti accordi diplomatici sotto la guida di Ottone di Bismarck, nuovo arbitro dell’Europa.
La generale crisi politica, sociale ed economica non poteva non riflettersi nella cultura, intaccandone i vari campi e manifestandosi prima di tutto nella filosofia. Inizia il declino del Positivismo, la cui fiducie e certezze appaiono smentite dalla permanenza dei guasti in ogni settore della società, dalla mancata risoluzione dei problemi, da una graduale perdita di credibilità delle capacità dell’uomo e delle applicazioni pratiche delle scoperte scientifiche.

Il nuovo indirizzo filosofico si presenta immediatamente opposto a quello precedente e, se prima l’attenzione si era diretta alla realtà, ora si tende ad andare oltre di essa, a esplorare oltre il reale, a cercare di indagare non il conoscibile, ma il mistero. Anzi  della realtà si dubita, la si dichiara inconoscibile, non accertabile; essa è solo fenomenica apparenza e niente può assicurare l’uomo che i modi e le forme in cui percepisce il reale, ciò che lo circonda, siano veramente così come egli ritiene.

La sfiducia nella ragione porta alla crisi dei valori tradizionali, genera insicurezza e un senso di angoscia esistenziale, resa ancora più dolorosa dalla mancanza della fede religiosa.
La coscienza della perdita degli ideali e dello smarrimento di valori coincide con una forma notevole di disadattamento, di incapacità di inserirsi nella realtà comune, di adattarsi a essa e di vivere fra gli altri uomini. il sentirsi fuori del proprio tempo, e perciò della storia, caratterizzerà e costituirà l’anima stessa del decadentismo.

I poeti decadenti, avvertendo fortemente il senso della incomunicabilità con gli altri uomini, diffidano del linguaggio come mezzo di comunicazione e svuotano la parola del suo reale significato; tutta la lingua si sfaccetta in molteplici aspetti e si presta a mille interpretazioni diverse, senza per questo divenire uno strumento liberatorio, bensì un ulteriore schema entro il quale il soggetto si sente costretto e come imprigionato, senza potere dire fino in fondo ciò che avrebbe voluto, né essere compreso mai interamente.

L’artista rispose con la ribellione al dramma dell’esistenza, una ribellione totale, assoluta, che lo sospinse in una solitudine completa senza sbocchi. Ribelle, solitario, egli poteva esplorare i suoi abissi misteriosi, catturare i suoi sogni segreti, lanciare da poeta la sua parola messianica nell’iireale, ma anche tormentarsi meglio, sconvolgersi nella ricerca di una identità che non possedeva, tormentarsi in un continuo ripiegamento interiore senza risultato.

Era questa una forma di eroismo diversa da quella tanto provata nel romanticismo: l’eroe romantico lottava per la patria disposto a morire per il suo ideale, correva incontro alla morte esaltandosi nell’ansia del sacrificio e il suo amore di gloria conferiva una dimensione titanica alla vita.
D’altra parte esisteva un saldo nesso tra l’artista dell’età romantica e la storia, la società, la realtà e l’arte era considerata un impegno attivo, una partecipazione viva agli eventi e ai fatti.
L’eroe decadente invece aveva ben altra fisionomia: non lottava per alcun ideale perché non ne concepiva alcuno e nemmeno tentava di intervenire a modificare la realtà, avendola scoperta indecifrabile e solo apparente. Non amore di gloria, ma ansia di evasione alimentava i suoi slanci, non volontà di sacrificio, ma volontà di piaceri sconosciuti accendeva i suoi sensi. L’eroismo consisteva, appunto, nell’ergersi al di sopra del disprezzo comune dei benpensanti e al di sopra di se stessi per vivere esperienze inimitabili nell’arte (si vedano gli esempi di Des Essaintes in A rebours di Huysmans, di Dorian Gray nel Ritratto di Dorian Gray di Wilde e di Andrea Sperelli ne Il piacere di D’Annunzio, tutti personaggi che rientrano nella galleria dei Dandy, ovvero dei monaci del bello).

Il decadentismo come movimento consapevole comincia dopo il 1889, ma fin dal 1857 Baudelaire (il poeta nel quale i decadenti riconoscevano il loro maestro) aveva parlato, a proposito di E. A. Poe di litérature de décadence. In un primo momento i seguaci di Baudelaire furono chiamati dagli avversari per disprezzo “Decadenti”; ma essi (tra i quali emergevano Verlaine, Rimbaud, Mallarmé e Moréas) accettarono quel nome e chiamarono Le Décadent una rivista da loro pubblicata dal 1880, sfidando la morale borghese e con la chiara consapevolezza di essere gli epigoni di una civiltà, gli interpreti di una epoca in crisi. Più tardi un verso di Verlaine esprimeva emblematicamente il senso e le intenzioni del movimento Io sono l’impero alla fine della decadenza. La nuova poesia rispecchiava la suggestiva condizione di una civiltà al tramonto; non era poesia in decadenza, bensì l’espressione di una epoca di crisi. I decadenti assumevano una posizione di protesta e di rottura verso i miti, i valori e il costume della borghesia ma la loro lotta non era dovuta a motivazioni politico-sociali (alla base invece delle lotte del marxismo), bensì a motivazioni estetiche: gli artisti attaccano la volgarità, il cattivo gusto del borghese, i suoi angusti orizzonti che non vedono altro che il guadagno e che, se concepiscono l’arte, la immaginano solo realistica.

Essi, come già i romantici, mettevano l’arte in rapporto con la realtà ma capovolgevano il rapporto romantico vita-arte (l’arte come interpretazione della realtà), ponendo l’arte alla base dell’esistenza e affidando ad essa il compito di costruire una vita congeniale.

Nel 1885 dal gruppo dei decadenti si staccavano alcuni letterati che, guidati da Moréas, diedero origine al movimento del Simbolismo; questo movimento, che dal 1886 svolse la sua battaglia contro il Naturalismo con la rivista Le Symboliste, prevalse sul gruppo dei decadenti rimasti intorno a Verlaine.

Il principio informatore del Simbolismo, enunciato da Moréas, consisteva nel configurare la natura come un cifrario di regni misteriosi, un repertorio di parvenze del reale. Poetare per i simbolisti significava risalire dalle parvenze alla verità, cogliere e rivelare per simboli, in virtù della magia della parola, sia pure in modo frammentario, l’ignoto.  Di conseguenza la parola perdeva ancora di più il suo peso concettuale per caricarsi di valori allusivi, di suggerimenti, di risonanze evocatrici ed acquistavano grande peso le figure retoriche più adatte a questo fine, come la analogia e la sinestesia.

Quali frutti producono in Italia le suggestioni e gli esempi europei, soprattutto francesi?
Ø      Bisogna soprattutto puntare all’opera di Giovanni Pascoli. La posizione pascoliana si lega ai motivi più autentici del decadentismo e forse è l’esperienza più significativa in Italia della poesia di tale movimento. Smarrito di fronte al mistero del cosmo, al dolore dell’uomo, deluso nelle speranze laiche (socialismo e progresso scientifico) inizialmente coltivate, Pascoli tenta di carpire alle cose di ogni giorno il loro senso riposto, la loro componente di mistero. E intanto rinnova profondamente il linguaggio e le strutture poetiche secondo moduli decadenti.
Ø      C’è poi la vistosa posizione dannunziana che si esplica, però, in differenti atteggiamenti. In un primo tempo, con Il piacere, D’Annunzio si inserisce nel clima di A ritroso e di Il ritratto di Dorian Gray e crea il personaggio di Andrea Sperelli, il Des Essaintes italiano: siamo cioè in pieno estetismo. In seguito però, in conseguenza anche della diffusione del pensiero di Nietzsche, il decadentismo dannunziano diventa mito del superuomo, idoleggiamento della vita ferina, attivismo. E questo non solo sul piano della produzione artistica, ma anche su quello pratico e politico.
Ø      Riconducibile per antitesi all’attivismo dannunziano e per affinità al dolente intimismo pascoliano è la posizione di Guido Gozzano e dei crepuscolari. Consapevole della sua condizione di sradicato, il poeta si rifugia nel vagheggiamento di un mondo di umili, piccole cose.
Ø      Le posizioni che più profondamente si richiamano al decadentismo, al senso della crisi, al dissolversi delle antiche certezze, sono quelle di Luigi Pirandello e di Italo Svevo.
Ø      Una caratteristica fondamentale del decadentismo è il pullulare delle avanguardie, cioè di movimenti che pur con grande diversità di poetiche mirano alla sperimentazione di nuove tecniche espressive che, muovendo tutte da premesse irrazionalistiche, segnino una radicale frattura col passato e siano voce e testimonianza della consapevolezza della crisi: futurismo, espressionismo, dadaismo, surrealismo. In questo panorama l’Italia è presente col Futurismo.

Ø      Anche quel complesso movimento che è detto piuttosto genericamente Ermetismo è inseribile nell’area del Decadentismo: sia perché riprende canoni delle poetiche decadenti che abbiamo esaminato (specialmente del Simbolismo di Moréas e Mallarmé), sia perché centrato in gran parte sul motivo della solitudine, dell’angoscia esistenziale di chiara origine decadente.

Il Decadentismo - Appunti della prof CdC


Se il Naturalismo aveva avuto come presupposti ideologici il Positivismo e le teorie evoluzionistiche, il Decadentismo fu in modo diretto o indiretto condizionato dal pensiero di almeno tre grandi personalità: Friedrich Nietsche, Sigmund Freud e Henri Bergson, il filosofo francese dell’intuizionismo. Queste tre personalità erano, seppure in maniera diversa, critiche rispetto alle scienze positive.

Nietsche affermava che i valori assoluti in cui potersi unanimemente riconoscere erano morti, che non è dato conoscere la realtà ma solo l’apparenza, che l’essere umano è dominato da istinti e che, in conseguenza di questo, ogni morale (soprattutto quella cristiana) si basa su principi astratti e lontani dall’essenza umana. In Così parlò Zarathustra egli formulò il concetto di oltreuomo, cioè di un uomo nuovo, libero dai condizionamenti da parte di ogni idea di trascendenza e di legge imposta dall’alto. L’oltreuomo è colui che si impegna a realizzare totalmente se stesso, superando tutti gli ostacoli, compresi quelli della morale, se la loro funzione è quella di reprimere i desideri e le aspirazioni individuali a vantaggio dell’opinione pubblica dominante. Nella Genealogia della morale suggerì di sottoporre a critica i valori morali in quanto serie di divieti che mirano a impedire la libera esplicazione delle potenzialità degli individui più dotati, a favore dei mediocri. Pertanto rifiutando l’idea che la storia si sviluppi in modo progressivo e riproponendo l’antica legge dell’eterno ritorno, già elaborata dai Greci, Nietsche afferma che dal tramonto dell’uomo rinascerà l’oltreuomo, capace di ricostruire su basi nuove la storia.

Freud, dal canto suo, affermava che una parte della nostra mente ci è sconosciuta e che questa parte, l’inconscio, ci guida nelle nostre azioni in maniera altrettanto potente quanto la ragione. La scoperta dell’inconscio metteva in crisi le certezze della razionalità e del Positivismo quanto l’affermazione di strutture mentali ben lontane dalla ragione e dalla consapevolezza, come l’Es e il Super-Io. Freud aveva indicato con questi nomi le due sfere della psiche umana che corrispondono rispettivamente all’inconscio (Es) e al sistema di valori, ideali e obblighi morali che ognuno interiorizza attraversa l’educazione (Super-Io), per distinguerli dalla parte cosciente di cui siamo sempre consapevoli, l’Io.


Bergson, infine, concepiva il mondo come animato da una forza vitale (→vitalismo) che è all’origine della grande varietà di tutto quello che esiste. Lo strumento che permette all’uomo di conoscere questa energia creatrice non è la ragione, ma un’altra facoltà, l’intuizione. L’aspetto del pensiero di Bergson che più ha influenzato la produzione artistica fu la sua distinzione tra il tempo della scienza, una successione di momenti tutti uguali che possono essere rappresentati come una linea che si distende nello spazio (tempo spazializzato), perfettamente misurabile, e  il tempo della coscienza. Quest’ultimo è durata pura non inquinata dall’idea dello spazio, un flusso continuo di attimi nei quali il passato e il futuro coesistono nel presente, il primo come memoria, il secondo come proiezione. Questa concezione del tempo interiore di Bergson fu uno stimolo per i romanzieri del ‘900 per rivedere alcuni aspetti della tecnica narrativa che quelli dell’ ‘800 non avevano messo in discussione, dal momento che il concetto lineare del tempo aveva reso per loro normale raccontare le vicende secondo un procedimento logico-cronologico.












Teoria dell'oltreuomo: 

i valori tradizionali sono morti e l'uomo deve superare se stesso per trovare in sè i punti di riferimento che non esistono più nella realtà esterna.




Nascita della psicoanalisi e scoperta dell'inconscio:
il comportamento umano non è dettato solo dalla razionalità ma anche da impulsi e pensieri inconsapevoli.
Distinzione di Es, Io e Super-Io.






Vitalismo e intuizionismo:
lo slancio vitale è una forza presente ovunque, invisibile ma visibile nei suoi effetti.

Il tempo non è un concetto assoluto:
esistono il tempo cronologico e il tempo interiore.









La visione della realtà viene messa in discussione