C’erano una mamma e un babbo con tredici figli tutti maschi. Ne nacque un altro, e gli misero nome quattordici. Crebbe in fretta e diventò grande; e la mamma gli disse: – E’ ora che anche tu aiuti i tuoi tredici fratelli che sono nel campo a zappare. Prendi questo cesto con la colazione per te e per loro e raggiungili. Gli diede un cesto con quattordici pagnotte, quattordici forme di cacio e quattordici litri di vino; e Quattordici andò.
A metà strada gli prese fame e sete e mangiò tutte e quattordici le pagnotte e le forme di cacio e bevve tutti i quattordici i litri di vino. I fratelli, rimasti a bocca asciutta, gli dissero: – Prendi un bidente anche tu e mettiti a zappare. E Quattordici:- Si, ma voglio un bidente che pesi quattordici libbre. I fratelli gli trovarono un bidente che pesava quattordici libbre, e Quattordici disse:- Facciamo che fa prima a zappare fino in fondo al campo?
Si misero a zappare tutti e quattordici; e Quattordici arrivò per primo in fondo al campo. Da allora in poi, Quattordici lavorò coi fratelli: lavorava per quattordici ma mangiava anche per quattordici e i fratelli diventarono magri come acciughe. Allora la madre e il padre gli dissero:- Vattene un po’ per il mondo!- e quattordici ci andò. C’era un contadino grosso che aveva bisogno di quindici zappatori.- Io lavoro per quattordici e mangio per quattordici, quindi pretendo la paga per quattordici, – disse lui. – Se mi prendete a questo patto, vengo. Il contadino grosso volle metterlo alla prova e prese lui insieme a un altro uomo, così Quattordici più uno faceva quindici. Andarono a zappare e mentre l’uomo dava un colpo di bidente, Quattordici ne dava quattordici e presto zappò tutta la campagna. Quando ebbe tutta la campagna zappata, il contadino grosso pensò che non gli conveniva di dargli la paga e da mangiare per quattordici e pensò a un sistema per liberarsi di lui. – Sta’ a sentire, – gli disse. – devi farmi un servizio. De vi andare all’Inferno con sette mule e quattordici bigonce a caricarle d’oro da Lucibello. -Certo che ci vado, – disse Quattordici, – datemi solo una tenaglia che peso quattordici libbre.
Avuta la tenaglia , frustò le mule per la strada dell’Inferno. Arrivato alle porte dell’Inferno, disse a quei diavoli:- Chiamatemi Lucibello. – Che vuoi dal nostro capo?- dissero i diavoli. Quattordici diede la lettera del suo padrone, che chiedeva gli riempisse le quattordici bigonce d’oro.- Vieni giù, – gli rispose Lucibello. Quando fu giù quattordici diavoli gli s’avventarono contro per divorarlo. Ma appena un diavolo apriva la bocca, Quattordici gli prendeva la lingua con la tenaglia e lo lasciava morto.
Ci rimase solo Lucibello capo dei diavoli. Come faccio a riempirti d’oro le quattordici bigonce se m’hai ammazzato i quattordici diavoli che dovevano caricarle? – Le carico io, – disse Quattordici; riempì d’oro le bigonce e disse:-Grazie, me ne vado. – Credi di andartene così?- disse Lucibello e aperse la bocca per mangiarlo. Quattordici prese la lingua con la tenaglia anche lui, lo alzò da terra, se lo mise a tracolla appeso alla tenaglia, e via dall’Inferno con le mule piene d’oro. Arrivò a casa dal padrone e legò il Diavolo al piede della tavola di cucina. –Cosa devo fare, ora? – disse Lucibello. E Quattordici disse:-Prenditi il mio padrone e tornatene all’Inferno con lui.
Il Diavolo non se lo fece dire due volte; e Quattordici restò lui padrone di tutto.
Italo Calvino
Fiabe italiane, Volume secondo
( Raccolta dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari
dialetti da Italo Calvino)
Ed. Mondadori , Milano,2002
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