Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

martedì 31 dicembre 2013

AUGURI




365 giorni per ridere, per scherzare, per studiare, per capire, per perdonare, per crescere, per partire, e per arrivare. 
365 giorni per volare, per sognare, per giocare, per riposare, per costruire, per dimenticare, e per ricordare. 
365 giorni per riscoprire, per riconoscere, per ripartire, per ritrovare, per riassaporare, per rileggere, per rivalutare, per vivere e per amare.


lunedì 23 dicembre 2013

C'E' POCA ARIA DI STELLE di Dino Buzzati



Nel paradiso degli animali l'anima del somarello chiese all'anima del bue:
- Ti ricordi per caso quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna e là, nella mangiatoia...?
- Lasciami pensare... Ma sì - rispose il bue. - Nella mangiatoia, se ben ricordo, c'era un bambino appena nato.
- Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?
- Eh no, figurati. Con la memoria da bue che mi ritrovo.
- Millenovecentosettanta, esattamente.
- Accidenti!
- E a proposito, lo sai chi era quel bambino?
- Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un bellissimo bambino.
L'asinello sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
- Ma no! - fece costui - Sul serio? Vorrai scherzare spero.
- La verità. Lo giuro. Del resto io l'avevo capito subito...
- Io no - confessò il bue - Si vede che tu sei più intelligente. A me non aveva neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un fantolino straordinario.
- Bene, da allora gli uomini ogni hanno fanno grande festa per l'anniversario della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo della serenità, della dolcezza, del riposo dell'animo, della pace, delle gioie famigliari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un'idea. Già che siamo in argomento, perché non andiamo a dare un'occhiata?
- Dove?
- Giù sulla terra, no!
- Ci sei già stato?
- Ogni anno, o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo puoi fare dare anche tu. Dopotutto, qualche piccola benemerenza possiamo vantarla, noi due.
- Per via di aver scaldato il bimbo col fiato?
- Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la Vigilia.
- E il lasciapassare per me?
- Ho un cugino all'ufficio passaporti.
Il lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi lievi, come mammiferi disincarnati. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume; vi puntarono sopra. Il lume era una grandissima città.
Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per le vie del centro. Trattandosi di spirito, automobili e tram gli passavano attraverso senza danno, e alla loro volta le due bestie passavano attraverso i muri come se fossero fatti d'aria.
Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva, entrava e usciva, tutti carichi di pacchi e pacchetti, con un'espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti. Il somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
- Senti, amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esserti sbagliato.
Qui stanno facendo la guerra.
- Ma non vedi come sono tutti contenti?
- Contenti? A me sembrano dei pazzi.
- Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi.
Per togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di spirito, fece una svolazzatina e si fermò a curiosare a una finestra del decimo piano. E l'asinello, gentilmente, dietro.
Videro una stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta ad un tavolo, una signora molto preoccupata.
Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto mezzo metro di carte e cartoncini colorati, alla sua destra una pila di cartoncini bianchi.
Con l'evidente assillo di non perdere un minuto, la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati lo esaminava un istante poi consultava grossi volumi, subito scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro cartoncino e ricominciava la manovra.
Quanto tempo ci vorrà a smaltirlo? La sciagurata ansimava.
- La pagheranno, bene, immagino, - fece il bue - per un lavoro simile.
- Sei ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore società.
- E allora perché si sta massacrando così?
- Non si massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri.
- Auguri? E a che cosa servono?
- Niente. Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania.
Si affacciarono, più in là, a un'altra finestra.
Anche qui, gente che, trafelava, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore.
Dovunque le bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all'altra portando spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi, altri scatole altri fiori altri mucchi di auguri.
E tutto era precipitazione ansia fastidio confusione e una terribile fatica. Dappertutto lo stesso spettacolo. Andare e venire, comprare e impaccare spedire e ricevere imballare e sballare chiamare e rispondere e tutti correvano tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava boccheggiando.
- Mi avevi detto - osservò il bue - che era la festa della serenità, della pace.
- Già - rispose l'asinello. - Una volta infatti era così. Ma, cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi... Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali.
Il bue tese le orecchie.
Per le strade nei negozi negli uffici nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule buon Natale auguri auguri a lei grazie altrettanto auguri buon Natale. Un brusio che riempiva la città.
- Ma ci credono? - chiese il bue - Lo dicono sul serio? Vogliono davvero tanto bene al prossimo?
L'asinello tacque.
- E se ci ritirassimo un poco in disparte? - suggerì il bovino. - Ho ormai la testa che è un pallone... Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti?
- No, no. È semplicemente Natale.
- Ce n'è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c'era una pace, una soddisfazione. Come era diverso.
- E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena.
- E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano.
- Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano.
- E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà che non ci sia ancora. Le stelle hanno una vita lunga.
- Ho idea di no - disse l'asino - c'è poca aria di stelle, qui.
Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c'era un soffitto di caligine e di smog.





sabato 21 dicembre 2013

Roberto Vecchioni, Il libraio di Selinunte.








Citazione n° 1


"I venti non si sa mai quando arrivano, come arrivano. Sono improvvisi e inspiegabili come i moti del cuore. Un istante prima sei calmo, sei sereno ed ecco che ti senti addosso un’agitazione, una frenesia… I venti cambiano cose che eran lì immutate da sempre: spiagge, boschi, ghiacciai. Abbiamo forse anche noi dei venti nel cuore? Qualcosa che quando arriva è più forte di tutto e non vuol sentire ragioni? È cosi’, pensai, che si diventa pazzi? È così che appare di schianto una verità che non conoscevi e non volevi conoscere?
(…)
E poi quando il vento si attenua, si placa, ti guardi attorno, e vedi che tutto è stato sconvolto, che tutto è mutato, irriconoscibile. L’albero pende spezzato, le pietre sono rotolate via, i vetri infranti, i vasi di fiori in cocci, la fontana zeppa di rami e di foglie. Ti volgi intorno e c’è una luce mai vista, spettrale, come se il mondo ricominciasse da lì e tutta quella rovina fosse stata necessaria. I venti dell’anima portano qualcosa come questa luce, ma prima devono trascinarti giù, più giù, perché senza la fine non c’è inizio."


Citazione n° 2

"È l'eccezione, lo sconvolgimento del consueto che ti mette ansia, ti rizza i nervi, ti sbulina l'animo.
La più grande bellezza e l'infima bruttezza partecipano del mistero. C'è negli antipodi, nel contrasto assurdo, nel diverso in natura come un filo che se lo tiri ti fa sentire vicino a una verità che le cose di tutti i giorni nemmeno sfiorano. C'è nel lampo e nel tuono una forza che manca alla giornata serena; c'è nella febbre, nell'incubo notturno, perfino in una sbornia, un indefinibile attimo di chiarezza, di certezza improvvisa. Quando qualcosa sconvolge ci dice molto più di quel che siamo abituati a sentire. L'inspiegabile, l'unico, arriva come a scuoterti, svegliarti da un sonno di ordinarie, concilianti abitudini. L'uomo ha livellato tutto, pur di far scorrere il suo sangue a quella precisa velocità, far battere il cuore a quel ritmo sempre uguale a se stesso e cosí vivere il piú a lungo possibile, non importa come, non importa a costo di cosa, pur di vivere disegnando una linea dritta, tra immagini a specchi consueti. Eccoci lì, macchine in un grande garage ordinato e pulito, dove ogni manovra d'entrata, uscita, sosta, parcheggio, precedenza, è stata così precisamente organizzata che non dobbiamo più chiederci quale sia il nostro posto, il nostro percorso, il nostro box.
Ma forse non siamo in un box. Forse questo mondo non è nato per essere un garage. Forse questo posto è stato pensato come un parco giochi o una stazione ferroviaria di treni a orari imprevedibili.
I pazzi, i selvaggi, i bambini hanno ancora di queste intuizioni."

Citazione n° 3

"Il libraio lesse ancora: leggeva e io sentivo senza capire. Come se quei pezzetti di suono si calamitassero tra loro e formassero una piccola figura compatta: un unico assemblarsi in una sola vivida emozione; e io quella provavo, quella avevo dentro, non altre. Pensai: è come quando conosci una persona e non ci sono più gli occhi, il braccio, le spalle, i piedi, i capelli; quelle cose non sono la persona, neanche messe tutte insieme: la persona è un'altra cosa. (...) Il sentimento è lì, è lì la forza che ti attanaglia: la "persona" che riconosci senza errore."


Roberto Vecchioni, da "Il libraio di Selinunte"






mercoledì 11 dicembre 2013

Storia dei dinosauri (una giustificazione dell'estinzione di una specie)


Allungato su una roccia, il dinosauro si scaldava al sole. Contemplava soddisfatto il selvaggio territorio sul quale dominava incontrastato. Stiracchiandosi indolente, inarcò il dorso crestato irto di corni e aculei; e gettò uno strido orrendo, che rimbalzò imperioso dalle rupi massicce alle valli boscose. 

Intanto, sopra un albero vicino, giunse e sostò una scimmia. 
“Ascolta, dinosauro; ti porto una notizia sorprendente” disse tutta eccitata. “Questo è un giorno importante: perché una specie diversa è sorta sulla terra. Mi capisci?” 
“Sì, sì” rispose il rettile sbadatamente. “E’ un fatto naturale. Non c’è nulla di strano in tale annuncio”. 
“Non hai compreso” ribadì la scimmia. “Dicendo che si tratta di una specie diversa, voglio significare che essa è anomala e inclassificabile. Ascolta attentamente: quest’ oggi è nato l’uomo”. 
“E allora?” replicò il dinosauro con un ghigno di scherno. “E’ l’ultimo arrivato sul pianeta, il rimasuglio scarno della dura evoluzione”. 
“Per lui si parlerà di creazione”. 
“E che vuol dire?” 
“Che verrà messo al centro di un evento singolare e inesplicabile”. 
“Quello che non si spiega, deperisce. L’uomo sarà l’anemico esponente di una specie avvilita, fiacca e ritardataria”. 
“Sarà, invece, magnifico e temibile come la tempesta”. 
“E’ più forte di me?” 
“E’ assai più debole”. 
“Ha denti più terribili dei miei?” 
“Li ha più fragili e scarsi”. 
“Dispone, forse, di artigli più affilati?” 
“Non ne possiede affatto”. 
“E, quindi, che può fare?” 
“Cose inimmaginabili e superbe, più tremende del suono, più dolci dell’aurora, più folli e sconvolgenti del fulmine e del vento. E’ sfornito di pinne; eppure nuoterà nelle viscere del mare. E’ privo di ali; eppure volerà oltre i limiti del cielo. Non ha becchi taglienti, né morsi velenosi, né aguzzi pungiglioni; eppure farà conquiste incomparabili, dagli spazi terrestri ai valichi stellari”. 
“Noi altri abbiamo vinto e asservito tutto quello che vegeta e che vive. Siamo noi i colossi della selezione naturale, i signori indiscussi del mondo intero. Nessuno oserà spodestarci”. 
“L’uomo vi annienterà”. 
“Come potrà, quell’infimo animale, sconfiggere i giganti della fauna?” 
“Egli ha un potere magico”. 
“Tu mi racconti favole”. 
“Io predico la storia”. 
“Ah, ah, ah…ridacchiò il dinosauro, corrugando il grugno viscido e possente. Sei la solita burlona. Ma basta con le ciarle”. 
“Vuoi venire con me?” gli propose la scimmia. “Io ti posso condurre dove si trova l’uomo. E tu potrai vederlo di persona”. 
“Va bene” accondiscese il dinosauro. “Facciamo quattro passi. Sono proprio curioso di osservare dappresso questa pallida bestia senza penne, senza squame e senza zanne”. 
Dondolando con lentezza il corpo mastodontico e spaventoso, seguì la scimmia fino a una caverna; e, in quella tana misera, vide il piccolo uomo nudo e inerme. 
Stava per rigirarsi con supremo disprezzo quando incrociò il suo sguardo; e un brivido gli corse per la schiena. 
In quegli occhi fluttuavano scintille indefinibili, un misto di ferocia e tenerezza, qualcosa di sublime e inquietante. Quelle iridi esprimevano una ignota intelligenza. Dalle pupille umane scaturiva un miracolo ineffabile. 



Di colpo, il dinosauro intese appieno le presaghe parole della scimmia. 
Rimase immobile per qualche tempo, agghiacciato dalla immane e minacciosa rivelazione. Poi si mise in cammino per recare il messaggio alle varie tribù dei grandi sauri. 
Andava per gli anfratti e le radure, negli spiazzi e nelle valli, sopra i picchi e le scogliere; e diceva gravemente ai propri simili: “Dobbiamo misurarci con un nuovo nemico. Egli, però, appartiene a una specie imbattibile. Soccomberemo lottando con lui, poiché non è possibile combattere un mistero. Io l’ho visto e vi ammonisco: l’uomo è straordinario, unico, inimitabile. Insomma, ci troviamo a fronteggiare un rivale insuperabile. Non ci resta che cedere lo scettro o rinunciare alla riproduzione”. 
I grandi sauri conobbero, pertanto, la comparsa dell’uomo sulla terra, la presenza del sommo antagonista dalle capacità stupefacenti. 
Tutti loro (padroni illimitati delle piane e delle alture, di quello che scorreva e di quello che stormiva, di ogni cosa guizzante e senza moto) fremettero di orgoglio e gelosa impotenza. 
Allora condivisero il proposito estremo del profetico araldo, venuto a proclamare il drammatico futuro. 
Prevedendo il giogo umano, non volendo accettarlo ma non potendo infrangerlo, essi unanimi decisero di estinguersi. 
E scomparvero per sempre. 

martedì 10 dicembre 2013

Sulla Rivoluzione Napoletana (1799)


A scuola quasi mai si trova il tempo, data la mole dei programmi e l'ansia di rispettarli, per spendere qualche parola sulla Repubblica napoletana del 1799, un'esperienza di forte impatto e di ancora più forte significato, nata sull'onda della prima campagna d'Italia (1796-1797) delle truppe della prima repubblica francese dopo la Rivoluzione francese.

Per ovviare a questo inconveniente, lascio subito la parola al grande professore Gerardo Marotta, avvocato e filosofo di stampo crociano, fondatore nel 1975 a Napoli dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale è tuttora Presidente, che ha sede nello storico palazzo Serra di Cassano.

Il video che segue contiene una lezione del professore Marotta presso il liceo napoletano intitolato a Eleonora Pimentel Fonseca, donna Leonora, l'eroina della rivoluzione partenopea, in occasione della commemorazione del fatto storico.



Segue un video contenente quella che, a parere mio, è la migliore versione del Canto dei sanfedisti, quasi l'inno dei reazionari dell'esercito della Santa Fede del cardinale Ruffo di Calabria. 
Il successo popolare che riscosse il movimento della Santa Fede dimostra che le idee rivoluzionarie e giacobine avevano fatto presa soltanto tra gli strati più istruiti della popolazione napoletana.

Seguite il canto con le parole che accompagnano il video.




 Il resto di niente è un romanzo storico italiano di Enzo Striano, pubblicato per la prima volta nel 1986, nel quale viene raccontata la vita diEleonora de Fonseca Pimentel sullo sfondo della rivoluzione napoletana del 1799.









lunedì 9 dicembre 2013

DESIDERARE


Dalle stelle alle stalle e ritorno.

Il desiderio è una cicatrice di ciò che non abbiamo, ciò che ci manca, ciò che abbiamo perduto.

Ma è anche apertura, prospettiva, possibilità: verso ciò che non abbiamo ancora, verso ciò che possiamo e vogliamo (ri)avere.

Una tensione continua verso qualcosa che è al contempo distante eppure attraente (de-sidera: la distanza dalle stelle).

E' la nostra natura più intima.

Ferita e balsamo, insieme.

Ma, se smettiamo di desiderare, cosa resta?

Il dis-astro: una distanza non più colmabile, il buio pesto, la ferita aperta.

Le stalle.










mercoledì 4 dicembre 2013

POSITIVISMO ED EVOLUZIONISMO


Un dato assolutamente imprescindibile  per  la comprensione  del fenomeno culturale europeo e italiano della seconda metà dell’Ottocento è la diffusione della mentalità e della filosofia positivistiche, alimentate dal successo dell’economia e dello sviluppo industriale.

All’origine del positivismo c’è il pensiero del filosofo francese Auguste Comte (1798-1857) che aveva indicato nello stadio “positivo” dominato dalla scienza quello più progredito cui l’umanità è giunta nel corso del suo sviluppo.



Studiando lo sviluppo dell’attività intellettuale in tutte le sue differenti sfere, Comte ritiene di avere scoperto una legge fondamentale, esposta nel “Corso di filosofia positiva”, secondo la quale ogni conoscenza passa attraverso tre stadi teorici diversi: quello teologico, quello metafisico e quello scientifico o positivo.

Nello stadio teologico lo spirito umano, impegnato  nella ricerca dell’essenza delle cose, delle cause prime e ultime dei fenomeni, ricorre ancora, per le sue spiegazioni, all’intervento diretto di agenti soprannaturali.

In quello metafisico sostituisca ad essi alcune forze astratte.

Nello stadio positivo lo spirito umano, riconoscendo l’impossibilità di ottenere nozioni assolute, rinuncia a cercare l’origine dell’universo e a conoscere le cause ultime dei fenomeni, per dedicarsi totalmente ed esclusivamente, servendosi dell’osservazione e del ragionamento, alla scoperta delle loro leggi effettive, cioè delle loro relazioni invariabili. La scienza, dunque, deve spiegare come un fenomeno si manifesta, cercando le leggi che ne determinano l’esistenza.

All’interpretazione ciclica della storia del pensiero greco, secondo la quale le vicende umane percorrono uno sviluppo che segue i processi naturali di nascita, crescita e morte (dopo la quale ricomincia un nuovo ciclo) e alla concezione cristiana della storia come luogo della manifestazione di Dio sotto forma di Provvidenza, il positivismo oppone l’ideologia del progresso, secondo la quale le epoche storiche sono tappe successive per avvicinarsi all’ “età della scienza”, meta finale dello sviluppo dell’umanità.

L’idea positivista di un progresso inarrestabile comporta una visione ottimistica della realtà e, in molti casi, un’interpretazione favorevole della società industriale. Non mancano tuttavia nel mondo intellettuale le denunce dell’oppressione del capitalismo, che sacrifica molte vite umane in nome del profitto e dell’adesione ai principi del marxismo, con una radicale messa in discussione del sistema economico e sociale dominante e la proposta di una società senza classi.

Accanto alla tendenza “sociale” del positivismo di Comte, si afferma una tendenza “evoluzionistica”, il cui frutto più noto in campo scientifico è rappresentato dalle teorie di Charles Darwin. Con evoluzionismo si indica quella concezione per la quale tutti gli organismi viventi obbediscono a una legge di continua evoluzione da stadi inferiori a stadi superiori.



Nel trattato “Sull’origine delle specie” (1859) Darwin ipotizza che la vita apparve in principio in forme molto semplici, che si modificarono via via secondo il principio della “selezione naturale”: si salvarono dalla estinzione solo quelle specie che seppero sviluppare (per mutazione genetica) e trasmettere ai loro discendenti caratteristiche adatte a sopravvivere in un ambiente che, nel corso di migliaia di anni, andava profondamente modificandosi.




lunedì 2 dicembre 2013

Il nome - mappa di concetti.


Il nome o sostantivo è una parte variabile del discorso.

Esso serve a indicare tutto ciò che esiste nella realtà (persone, animali, cose, luoghi, azioni) e nella nostra mente (sentimenti, idee e concetti).




Ma se vuoi imparare divertendoti, ti consiglio di collegarti al link seguente, che ti porterà nel ricco e fantasmagorico mondo (si fa per dire) della grammatica!

http://www.loescher.it/librionline/risorse_linguaitaliana/download/interattivo/start.html