Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

martedì 31 dicembre 2013

AUGURI




365 giorni per ridere, per scherzare, per studiare, per capire, per perdonare, per crescere, per partire, e per arrivare. 
365 giorni per volare, per sognare, per giocare, per riposare, per costruire, per dimenticare, e per ricordare. 
365 giorni per riscoprire, per riconoscere, per ripartire, per ritrovare, per riassaporare, per rileggere, per rivalutare, per vivere e per amare.


lunedì 23 dicembre 2013

C'E' POCA ARIA DI STELLE di Dino Buzzati



Nel paradiso degli animali l'anima del somarello chiese all'anima del bue:
- Ti ricordi per caso quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna e là, nella mangiatoia...?
- Lasciami pensare... Ma sì - rispose il bue. - Nella mangiatoia, se ben ricordo, c'era un bambino appena nato.
- Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?
- Eh no, figurati. Con la memoria da bue che mi ritrovo.
- Millenovecentosettanta, esattamente.
- Accidenti!
- E a proposito, lo sai chi era quel bambino?
- Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un bellissimo bambino.
L'asinello sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
- Ma no! - fece costui - Sul serio? Vorrai scherzare spero.
- La verità. Lo giuro. Del resto io l'avevo capito subito...
- Io no - confessò il bue - Si vede che tu sei più intelligente. A me non aveva neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un fantolino straordinario.
- Bene, da allora gli uomini ogni hanno fanno grande festa per l'anniversario della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo della serenità, della dolcezza, del riposo dell'animo, della pace, delle gioie famigliari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un'idea. Già che siamo in argomento, perché non andiamo a dare un'occhiata?
- Dove?
- Giù sulla terra, no!
- Ci sei già stato?
- Ogni anno, o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo puoi fare dare anche tu. Dopotutto, qualche piccola benemerenza possiamo vantarla, noi due.
- Per via di aver scaldato il bimbo col fiato?
- Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la Vigilia.
- E il lasciapassare per me?
- Ho un cugino all'ufficio passaporti.
Il lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi lievi, come mammiferi disincarnati. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume; vi puntarono sopra. Il lume era una grandissima città.
Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per le vie del centro. Trattandosi di spirito, automobili e tram gli passavano attraverso senza danno, e alla loro volta le due bestie passavano attraverso i muri come se fossero fatti d'aria.
Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva, entrava e usciva, tutti carichi di pacchi e pacchetti, con un'espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti. Il somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
- Senti, amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esserti sbagliato.
Qui stanno facendo la guerra.
- Ma non vedi come sono tutti contenti?
- Contenti? A me sembrano dei pazzi.
- Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi.
Per togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di spirito, fece una svolazzatina e si fermò a curiosare a una finestra del decimo piano. E l'asinello, gentilmente, dietro.
Videro una stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta ad un tavolo, una signora molto preoccupata.
Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto mezzo metro di carte e cartoncini colorati, alla sua destra una pila di cartoncini bianchi.
Con l'evidente assillo di non perdere un minuto, la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati lo esaminava un istante poi consultava grossi volumi, subito scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro cartoncino e ricominciava la manovra.
Quanto tempo ci vorrà a smaltirlo? La sciagurata ansimava.
- La pagheranno, bene, immagino, - fece il bue - per un lavoro simile.
- Sei ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore società.
- E allora perché si sta massacrando così?
- Non si massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri.
- Auguri? E a che cosa servono?
- Niente. Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania.
Si affacciarono, più in là, a un'altra finestra.
Anche qui, gente che, trafelava, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore.
Dovunque le bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all'altra portando spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi, altri scatole altri fiori altri mucchi di auguri.
E tutto era precipitazione ansia fastidio confusione e una terribile fatica. Dappertutto lo stesso spettacolo. Andare e venire, comprare e impaccare spedire e ricevere imballare e sballare chiamare e rispondere e tutti correvano tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava boccheggiando.
- Mi avevi detto - osservò il bue - che era la festa della serenità, della pace.
- Già - rispose l'asinello. - Una volta infatti era così. Ma, cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi... Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali.
Il bue tese le orecchie.
Per le strade nei negozi negli uffici nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule buon Natale auguri auguri a lei grazie altrettanto auguri buon Natale. Un brusio che riempiva la città.
- Ma ci credono? - chiese il bue - Lo dicono sul serio? Vogliono davvero tanto bene al prossimo?
L'asinello tacque.
- E se ci ritirassimo un poco in disparte? - suggerì il bovino. - Ho ormai la testa che è un pallone... Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti?
- No, no. È semplicemente Natale.
- Ce n'è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c'era una pace, una soddisfazione. Come era diverso.
- E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena.
- E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano.
- Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano.
- E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà che non ci sia ancora. Le stelle hanno una vita lunga.
- Ho idea di no - disse l'asino - c'è poca aria di stelle, qui.
Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c'era un soffitto di caligine e di smog.





sabato 21 dicembre 2013

Roberto Vecchioni, Il libraio di Selinunte.








Citazione n° 1


"I venti non si sa mai quando arrivano, come arrivano. Sono improvvisi e inspiegabili come i moti del cuore. Un istante prima sei calmo, sei sereno ed ecco che ti senti addosso un’agitazione, una frenesia… I venti cambiano cose che eran lì immutate da sempre: spiagge, boschi, ghiacciai. Abbiamo forse anche noi dei venti nel cuore? Qualcosa che quando arriva è più forte di tutto e non vuol sentire ragioni? È cosi’, pensai, che si diventa pazzi? È così che appare di schianto una verità che non conoscevi e non volevi conoscere?
(…)
E poi quando il vento si attenua, si placa, ti guardi attorno, e vedi che tutto è stato sconvolto, che tutto è mutato, irriconoscibile. L’albero pende spezzato, le pietre sono rotolate via, i vetri infranti, i vasi di fiori in cocci, la fontana zeppa di rami e di foglie. Ti volgi intorno e c’è una luce mai vista, spettrale, come se il mondo ricominciasse da lì e tutta quella rovina fosse stata necessaria. I venti dell’anima portano qualcosa come questa luce, ma prima devono trascinarti giù, più giù, perché senza la fine non c’è inizio."


Citazione n° 2

"È l'eccezione, lo sconvolgimento del consueto che ti mette ansia, ti rizza i nervi, ti sbulina l'animo.
La più grande bellezza e l'infima bruttezza partecipano del mistero. C'è negli antipodi, nel contrasto assurdo, nel diverso in natura come un filo che se lo tiri ti fa sentire vicino a una verità che le cose di tutti i giorni nemmeno sfiorano. C'è nel lampo e nel tuono una forza che manca alla giornata serena; c'è nella febbre, nell'incubo notturno, perfino in una sbornia, un indefinibile attimo di chiarezza, di certezza improvvisa. Quando qualcosa sconvolge ci dice molto più di quel che siamo abituati a sentire. L'inspiegabile, l'unico, arriva come a scuoterti, svegliarti da un sonno di ordinarie, concilianti abitudini. L'uomo ha livellato tutto, pur di far scorrere il suo sangue a quella precisa velocità, far battere il cuore a quel ritmo sempre uguale a se stesso e cosí vivere il piú a lungo possibile, non importa come, non importa a costo di cosa, pur di vivere disegnando una linea dritta, tra immagini a specchi consueti. Eccoci lì, macchine in un grande garage ordinato e pulito, dove ogni manovra d'entrata, uscita, sosta, parcheggio, precedenza, è stata così precisamente organizzata che non dobbiamo più chiederci quale sia il nostro posto, il nostro percorso, il nostro box.
Ma forse non siamo in un box. Forse questo mondo non è nato per essere un garage. Forse questo posto è stato pensato come un parco giochi o una stazione ferroviaria di treni a orari imprevedibili.
I pazzi, i selvaggi, i bambini hanno ancora di queste intuizioni."

Citazione n° 3

"Il libraio lesse ancora: leggeva e io sentivo senza capire. Come se quei pezzetti di suono si calamitassero tra loro e formassero una piccola figura compatta: un unico assemblarsi in una sola vivida emozione; e io quella provavo, quella avevo dentro, non altre. Pensai: è come quando conosci una persona e non ci sono più gli occhi, il braccio, le spalle, i piedi, i capelli; quelle cose non sono la persona, neanche messe tutte insieme: la persona è un'altra cosa. (...) Il sentimento è lì, è lì la forza che ti attanaglia: la "persona" che riconosci senza errore."


Roberto Vecchioni, da "Il libraio di Selinunte"






mercoledì 11 dicembre 2013

Storia dei dinosauri (una giustificazione dell'estinzione di una specie)


Allungato su una roccia, il dinosauro si scaldava al sole. Contemplava soddisfatto il selvaggio territorio sul quale dominava incontrastato. Stiracchiandosi indolente, inarcò il dorso crestato irto di corni e aculei; e gettò uno strido orrendo, che rimbalzò imperioso dalle rupi massicce alle valli boscose. 

Intanto, sopra un albero vicino, giunse e sostò una scimmia. 
“Ascolta, dinosauro; ti porto una notizia sorprendente” disse tutta eccitata. “Questo è un giorno importante: perché una specie diversa è sorta sulla terra. Mi capisci?” 
“Sì, sì” rispose il rettile sbadatamente. “E’ un fatto naturale. Non c’è nulla di strano in tale annuncio”. 
“Non hai compreso” ribadì la scimmia. “Dicendo che si tratta di una specie diversa, voglio significare che essa è anomala e inclassificabile. Ascolta attentamente: quest’ oggi è nato l’uomo”. 
“E allora?” replicò il dinosauro con un ghigno di scherno. “E’ l’ultimo arrivato sul pianeta, il rimasuglio scarno della dura evoluzione”. 
“Per lui si parlerà di creazione”. 
“E che vuol dire?” 
“Che verrà messo al centro di un evento singolare e inesplicabile”. 
“Quello che non si spiega, deperisce. L’uomo sarà l’anemico esponente di una specie avvilita, fiacca e ritardataria”. 
“Sarà, invece, magnifico e temibile come la tempesta”. 
“E’ più forte di me?” 
“E’ assai più debole”. 
“Ha denti più terribili dei miei?” 
“Li ha più fragili e scarsi”. 
“Dispone, forse, di artigli più affilati?” 
“Non ne possiede affatto”. 
“E, quindi, che può fare?” 
“Cose inimmaginabili e superbe, più tremende del suono, più dolci dell’aurora, più folli e sconvolgenti del fulmine e del vento. E’ sfornito di pinne; eppure nuoterà nelle viscere del mare. E’ privo di ali; eppure volerà oltre i limiti del cielo. Non ha becchi taglienti, né morsi velenosi, né aguzzi pungiglioni; eppure farà conquiste incomparabili, dagli spazi terrestri ai valichi stellari”. 
“Noi altri abbiamo vinto e asservito tutto quello che vegeta e che vive. Siamo noi i colossi della selezione naturale, i signori indiscussi del mondo intero. Nessuno oserà spodestarci”. 
“L’uomo vi annienterà”. 
“Come potrà, quell’infimo animale, sconfiggere i giganti della fauna?” 
“Egli ha un potere magico”. 
“Tu mi racconti favole”. 
“Io predico la storia”. 
“Ah, ah, ah…ridacchiò il dinosauro, corrugando il grugno viscido e possente. Sei la solita burlona. Ma basta con le ciarle”. 
“Vuoi venire con me?” gli propose la scimmia. “Io ti posso condurre dove si trova l’uomo. E tu potrai vederlo di persona”. 
“Va bene” accondiscese il dinosauro. “Facciamo quattro passi. Sono proprio curioso di osservare dappresso questa pallida bestia senza penne, senza squame e senza zanne”. 
Dondolando con lentezza il corpo mastodontico e spaventoso, seguì la scimmia fino a una caverna; e, in quella tana misera, vide il piccolo uomo nudo e inerme. 
Stava per rigirarsi con supremo disprezzo quando incrociò il suo sguardo; e un brivido gli corse per la schiena. 
In quegli occhi fluttuavano scintille indefinibili, un misto di ferocia e tenerezza, qualcosa di sublime e inquietante. Quelle iridi esprimevano una ignota intelligenza. Dalle pupille umane scaturiva un miracolo ineffabile. 



Di colpo, il dinosauro intese appieno le presaghe parole della scimmia. 
Rimase immobile per qualche tempo, agghiacciato dalla immane e minacciosa rivelazione. Poi si mise in cammino per recare il messaggio alle varie tribù dei grandi sauri. 
Andava per gli anfratti e le radure, negli spiazzi e nelle valli, sopra i picchi e le scogliere; e diceva gravemente ai propri simili: “Dobbiamo misurarci con un nuovo nemico. Egli, però, appartiene a una specie imbattibile. Soccomberemo lottando con lui, poiché non è possibile combattere un mistero. Io l’ho visto e vi ammonisco: l’uomo è straordinario, unico, inimitabile. Insomma, ci troviamo a fronteggiare un rivale insuperabile. Non ci resta che cedere lo scettro o rinunciare alla riproduzione”. 
I grandi sauri conobbero, pertanto, la comparsa dell’uomo sulla terra, la presenza del sommo antagonista dalle capacità stupefacenti. 
Tutti loro (padroni illimitati delle piane e delle alture, di quello che scorreva e di quello che stormiva, di ogni cosa guizzante e senza moto) fremettero di orgoglio e gelosa impotenza. 
Allora condivisero il proposito estremo del profetico araldo, venuto a proclamare il drammatico futuro. 
Prevedendo il giogo umano, non volendo accettarlo ma non potendo infrangerlo, essi unanimi decisero di estinguersi. 
E scomparvero per sempre. 

martedì 10 dicembre 2013

Sulla Rivoluzione Napoletana (1799)


A scuola quasi mai si trova il tempo, data la mole dei programmi e l'ansia di rispettarli, per spendere qualche parola sulla Repubblica napoletana del 1799, un'esperienza di forte impatto e di ancora più forte significato, nata sull'onda della prima campagna d'Italia (1796-1797) delle truppe della prima repubblica francese dopo la Rivoluzione francese.

Per ovviare a questo inconveniente, lascio subito la parola al grande professore Gerardo Marotta, avvocato e filosofo di stampo crociano, fondatore nel 1975 a Napoli dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale è tuttora Presidente, che ha sede nello storico palazzo Serra di Cassano.

Il video che segue contiene una lezione del professore Marotta presso il liceo napoletano intitolato a Eleonora Pimentel Fonseca, donna Leonora, l'eroina della rivoluzione partenopea, in occasione della commemorazione del fatto storico.



Segue un video contenente quella che, a parere mio, è la migliore versione del Canto dei sanfedisti, quasi l'inno dei reazionari dell'esercito della Santa Fede del cardinale Ruffo di Calabria. 
Il successo popolare che riscosse il movimento della Santa Fede dimostra che le idee rivoluzionarie e giacobine avevano fatto presa soltanto tra gli strati più istruiti della popolazione napoletana.

Seguite il canto con le parole che accompagnano il video.




 Il resto di niente è un romanzo storico italiano di Enzo Striano, pubblicato per la prima volta nel 1986, nel quale viene raccontata la vita diEleonora de Fonseca Pimentel sullo sfondo della rivoluzione napoletana del 1799.









lunedì 9 dicembre 2013

DESIDERARE


Dalle stelle alle stalle e ritorno.

Il desiderio è una cicatrice di ciò che non abbiamo, ciò che ci manca, ciò che abbiamo perduto.

Ma è anche apertura, prospettiva, possibilità: verso ciò che non abbiamo ancora, verso ciò che possiamo e vogliamo (ri)avere.

Una tensione continua verso qualcosa che è al contempo distante eppure attraente (de-sidera: la distanza dalle stelle).

E' la nostra natura più intima.

Ferita e balsamo, insieme.

Ma, se smettiamo di desiderare, cosa resta?

Il dis-astro: una distanza non più colmabile, il buio pesto, la ferita aperta.

Le stalle.










mercoledì 4 dicembre 2013

POSITIVISMO ED EVOLUZIONISMO


Un dato assolutamente imprescindibile  per  la comprensione  del fenomeno culturale europeo e italiano della seconda metà dell’Ottocento è la diffusione della mentalità e della filosofia positivistiche, alimentate dal successo dell’economia e dello sviluppo industriale.

All’origine del positivismo c’è il pensiero del filosofo francese Auguste Comte (1798-1857) che aveva indicato nello stadio “positivo” dominato dalla scienza quello più progredito cui l’umanità è giunta nel corso del suo sviluppo.



Studiando lo sviluppo dell’attività intellettuale in tutte le sue differenti sfere, Comte ritiene di avere scoperto una legge fondamentale, esposta nel “Corso di filosofia positiva”, secondo la quale ogni conoscenza passa attraverso tre stadi teorici diversi: quello teologico, quello metafisico e quello scientifico o positivo.

Nello stadio teologico lo spirito umano, impegnato  nella ricerca dell’essenza delle cose, delle cause prime e ultime dei fenomeni, ricorre ancora, per le sue spiegazioni, all’intervento diretto di agenti soprannaturali.

In quello metafisico sostituisca ad essi alcune forze astratte.

Nello stadio positivo lo spirito umano, riconoscendo l’impossibilità di ottenere nozioni assolute, rinuncia a cercare l’origine dell’universo e a conoscere le cause ultime dei fenomeni, per dedicarsi totalmente ed esclusivamente, servendosi dell’osservazione e del ragionamento, alla scoperta delle loro leggi effettive, cioè delle loro relazioni invariabili. La scienza, dunque, deve spiegare come un fenomeno si manifesta, cercando le leggi che ne determinano l’esistenza.

All’interpretazione ciclica della storia del pensiero greco, secondo la quale le vicende umane percorrono uno sviluppo che segue i processi naturali di nascita, crescita e morte (dopo la quale ricomincia un nuovo ciclo) e alla concezione cristiana della storia come luogo della manifestazione di Dio sotto forma di Provvidenza, il positivismo oppone l’ideologia del progresso, secondo la quale le epoche storiche sono tappe successive per avvicinarsi all’ “età della scienza”, meta finale dello sviluppo dell’umanità.

L’idea positivista di un progresso inarrestabile comporta una visione ottimistica della realtà e, in molti casi, un’interpretazione favorevole della società industriale. Non mancano tuttavia nel mondo intellettuale le denunce dell’oppressione del capitalismo, che sacrifica molte vite umane in nome del profitto e dell’adesione ai principi del marxismo, con una radicale messa in discussione del sistema economico e sociale dominante e la proposta di una società senza classi.

Accanto alla tendenza “sociale” del positivismo di Comte, si afferma una tendenza “evoluzionistica”, il cui frutto più noto in campo scientifico è rappresentato dalle teorie di Charles Darwin. Con evoluzionismo si indica quella concezione per la quale tutti gli organismi viventi obbediscono a una legge di continua evoluzione da stadi inferiori a stadi superiori.



Nel trattato “Sull’origine delle specie” (1859) Darwin ipotizza che la vita apparve in principio in forme molto semplici, che si modificarono via via secondo il principio della “selezione naturale”: si salvarono dalla estinzione solo quelle specie che seppero sviluppare (per mutazione genetica) e trasmettere ai loro discendenti caratteristiche adatte a sopravvivere in un ambiente che, nel corso di migliaia di anni, andava profondamente modificandosi.




lunedì 2 dicembre 2013

Il nome - mappa di concetti.


Il nome o sostantivo è una parte variabile del discorso.

Esso serve a indicare tutto ciò che esiste nella realtà (persone, animali, cose, luoghi, azioni) e nella nostra mente (sentimenti, idee e concetti).




Ma se vuoi imparare divertendoti, ti consiglio di collegarti al link seguente, che ti porterà nel ricco e fantasmagorico mondo (si fa per dire) della grammatica!

http://www.loescher.it/librionline/risorse_linguaitaliana/download/interattivo/start.html

martedì 26 novembre 2013

Il troppo e il vano

Non si tratta proprio di errori. 
Ma se facciamo lo sforzo di eliminare le ridondanze otteniamo un testo più chiaro e più efficace. Dobbiamo sforzarci, nel lavoro di rifinitura di un testo, di eliminare il troppo e il vano.
Alcune espressioni comuni, per esempio, potrebbero essere dimezzate (eliminando le parole tra parentesi): progetto (futuro), (singolo) individuo, principale (priorità), (diversa) varietà, base (fondamentale), storia (passata), momento (attuale). Con una sola parola spesso si ottiene, in meno spazio, un miglior risultato (finale).


lunedì 25 novembre 2013

Dante, Paradiso XI, analisi.



Le insensate passioni degli uomini

1)      Porta alcuni esempi dei difettivi silogismi (v. 2) che affaticano gli uomini sulla terra.

Dubbi di Dante

2)      Da dove nascono e quali sono i dubbi di Dante a cui allude san Tommaso?

Due campioni della Chiesa

3)      Spiega il significato dell’espressione quinci e quindi (v. 36).
4)      Come vengono definiti i due campioni della Chiesa?
5)      A quali fonti può avere attinto Dante per narrare in sintesi l’agiografia di san Francesco?

Francesco e il suo ordine        

6)      Narra la vita di Francesco secondo la focalizzazione dantesca che si concentra su un particolare aspetto.
7)      Perché il Francesco dantesco appare lontano da quello tramandato dalla tradizione popolare?
8)      Fai la parafrasi e spiega la terzina 97-99.
9)      Qual è l’ultimo sigillo  (v. 107) che ebbe Francesco?
10)  Perché viene definito ultimo?

Da san Francesco a san Domenico


11)  Quale immagine usa san Tommaso per indicare l’esiguo numero di domenicani fedeli alla Regola?


domenica 24 novembre 2013

I Numeri in Natura

To see a world in a grain of sand,
And a heaven in a wild flower,
Hold infinity in the palm of your hand,
And eternity in an hour.
(William Blake)
(una delle mie poesie preferite. In italiano è pressappoco così:

Per vedere un mondo in un granello di sabbia
e il paradiso in un fiore di campo
tieni l’infinito nel palmo della tua mano
e l’eternità in un’ora)

C’è un video abbastanza famoso su Youtube (ma lo trovate anche in fondo a questo post), che spiega senza parole la matematica nascosta in natura.
Parte da un concetto molto semplice, e cioè dalla cosiddetta serie (o successione) di Fibonacci: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89… eccetera. E’ una catena di cifre nella quale ogni numero è uguale alla somma dei due che lo precedono. Il terzo numero, l’1, è la somma di 0 e 1; il 2 è la somma dei due 1, così come quel 21 è la somma di 8 e 13… e via, verso l’infinito.
Può sembrare un elenco di numeri senza senso, eppure (c’è sempre un “eppure” in natura) la serie di Fibonacci è quella che meglio descrive la cosiddetta sezione aurea, una particolare spirale geometrica che ha influenze un po’ dappertutto, dalla matematica alla biologia, alla fisica, all’arte. Il video di cui vi sto parlando comincia proprio facendo vedere come la serie di Fibonacci si incastri alla perfezione con la sezione aurea e, subito dopo, di come la sezione aurea si incastri alla perfezione con la natura.
Volete una prova? Quasi tutti i fiori hanno tre o cinque o otto o tredici o ventuno o trentaquattro o cinquantacinque o ottantanove petali: i gigli ne hanno tre, i ranuncoli cinque, il delphinium spesso ne ha otto, la calendula tredici, l’astro ventuno, e le margherite di solito ne hanno trentaquattro o cinquantacinque o ottantanove*. Rileggete la serie di Fibonacci, e spalancate la bocca in segno di stupore, come sto facendo io.

Ma, come dice il vecchio detto, le immagini valgono più di mille parole. Vi lascio al video, allora, sperando che anche voi – come me – lo troviate dannatamente affascinante.

* Viene spontaneo notare che se le margherite, di solito, hanno 34, 55 o 89 petali, l’amore trionfa due volte su tre. Chi prova a fare ”m’ama-non m’ama” si vedrà amato con la margherita da 55 e con quella da 89, non amato con quella da 34. A questo punto, basterebbe riconoscere ad occhio quelle da 89, o per lo meno imparare ad evitare quelle da 34, per avere una vita che più rosa non si può ;)



mercoledì 20 novembre 2013

Simone Weil a Joë Bousquet

Si è attenti all'altro specialmente (o solo, pare dirci la Weil) quando si è stati oggetto di attenzione in un momento di sofferenza. 
Quindi si impara a essere attenti all'altro da noi attraverso l'esperienza.

Quanto ci fa piacere che qualcuno ci chieda, con sincero interesse, "Come stai?"

Lo spunto è all'approfondimento della esperienza intellettuale e umana di Simone Weil, complessa figura femminile del Novecento.



lunedì 18 novembre 2013

Il Fesso - un esempio di sonetto

Ancora un esperimento dagli alunni della II B Linguistico. 
Questa volta si sono cimentati nientepopodimenoche nella stesura di un sonetto.

E così è stato rispettato il rigido schema dei quattordici versi tutti endecasillabi, raggruppati in due quartine e due terzine
E le rime? Sapreste ricostruire lo schema delle rime del seguente componimento?

Il tema è scherzoso e prende di mira i tipi sbruffoni, che millantano avventure e conquiste assai improbabili.




IL FESSO

Di gente vanitosa ce n'è tanta

Che il bell'aspetto tutto il dì decanta
Che l'attenzione dei compari vuole
E per averla dir menzogne suole.

Dicendo che hanno avuto tanti amori

Di mille donne aver infranto i cuori
Appaiono ridicoli e nol sanno
E mai nessuna donna vera avranno.

E quindi, amico mio, io ti consiglio

Se davvero una donna vuoi trovare
Di essere sincero con te stesso.

E fra le coppie non portar scompiglio

Ma la maschera cerca di levare
Se la parte non vuoi fare del fesso.

venerdì 15 novembre 2013

Un fiume in piena




Laudato sie, mi Signore, per sora acqua,
la quale è molto utile, et umile, et pretiosa et casta.

San Francesco 

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo, ove piacque
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare, al bel fianco, colonna;
erba e fior, che la gonna
leggiadra ricoverse
co l’angelico seno;
aer sacro, sereno,
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse;

F. Petrarca

acqua che odo,
acqua che lodo,
acqua che squilli,
acqua che brilli,
acqua che canti e piangi,
acqua che ridi e muggi,
tu sei la vita e sempre
e sempre fuggi.

G. d'Annunzio


(continuo? con le poesie, intendo...
quanto al resto, non c'è proprio più niente da aggiungere.
ci devono togliere tutto, sino all'ultima goccia).





giovedì 14 novembre 2013

Pensierino dell'ora del tè.

Il sapere è un processo continuo: la ricerca interessa anche le materie umanistiche. 

Il senso critico non si potrà mai ridurre ad una formula.

martedì 12 novembre 2013

Corpo


"C'è più assennatezza nel tuo corpo che in tutta la tua assennata saggezza" (F. N.)

Attraverso il corpo passa tutto ciò che riceviamo e doniamo. Tutto ciò che siamo. 

Ad ogni inspiro, siamo casa per il mondo. 

Ad ogni espiro, siamo a casa nel mondo. 

Così, nel qui e ora di ogni respiro, il corpo vibra, come un diapason, secondo il livello di sintonia tra ciò che è dentro e fuori di noi. 

Così, la saggezza è ricerca della salute, e viceversa. 

Qui e ora.









lunedì 11 novembre 2013

Postille manzoniane


LA CONVERSIONE E LA CONCEZIONE DELLA VITA E DELLA STORIA


La conversione rappresentò il fatto fondamentale nella vita e nell’opera del Manzoni, perché l’accettazione dei principi cristiani e della dottrina della Chiesa lo condusse al rifiuto dell’ateismo e del materialismo derivati dall’Illuminismo e accolti nella prima gioventù, e contemporaneamente ad una visione tutta nuova e coerente della vita e della storia.
La sua è una concezione che si ricollega inizialmente al pessimismo proprio delle ideologie romantiche, che vedevano l’uomo continuamente travagliato dalla sofferenza e dall’angoscia, le quali, nella nostra letteratura, si erano già espresse nelle opere di grandi scrittori e poeti dell’ultimo Settecento e del primo Ottocento, quali Alfieri, Foscolo, Leopardi. Ma mentre questi avevano incolpato della sofferenza dell’uomo la sorte, il destino, la natura, insomma una forza segreta che dominerebbe il mondo con le sue leggi immutabili, il Manzoni pensa che l’origine di ogni male e di ogni dolore vada ricercata nell’uomo stesso, che col suo peccare sconvolge l’ordine universale di armonia e amore e che per soddisfare le sue passioni determina per sé e per gli altri l’agitazione e il rimorso.
Ma il Manzoni, sulla base della sua fede nella dottrina cristiana, va ben oltre questa visione tutta pessimistica, in quanto nel dolore vede uno strumento prezioso nella vita dell’uomo, se questi sa accoglierlo e accettarlo. Esso infatti ha una grande funzione, sia che si abbatta sui cattivi sia che colpisca i buoni. Sui cattivi agisce come ultimo richiamo della bontà di Dio al ravvedimento. Ma il dolore è provvidenziale soprattutto per i buoni. A loro serve per renderli ancora migliori, per purificarli ed elevarli sempre più, sia agli occhi degli uomini che a quelli di Dio, e serve a farli degni e meritevoli del premio celeste. Per gli innocenti, dunque, il dolore è una “provvida sventura”.
Essendo questa la sua visione della vita, il Manzoni improntò tutta la sua produzione successiva alla conversione al motivo della Provvidenza. Essa, pur non limitando il libero arbitrio dell’uomo, entrerà di continuo nello svolgimento delle vicende che l’autore ricostruisce e spesso farà risolvere nel bene anche le azioni perverse.




LA POETICA MANZONIANA


In Manzoni confluirono i due elementi principali della dottrina romantica e divennero i cardini della sua poetica:
Ø      L’interesse per la storia
Ø      L’aspetto popolare della letteratura

Già nella prefazione al “Carmagnola il Manzoni combatte il principio delle unità pseudo-aristoteliche di cui accetta la sola unità di azione come elemento unificatore dell’opera d’arte; accenna, poi, al carattere dei cori delle sue tragedie, non parte integrante dell’azione, come nel teatro greco, ma un “cantuccio” in cui il poeta può parlare in prima persona, esprimendo le sue considerazioni; infine viene posto il problema della moralità dell’arte drammatica la quale, lungi dal corrompere, deve proporsi lo scopo di educare il popolo.

Francesco da Ponte detto Bassano, 
La battaglia di Maclodio, 1587La battaglia di Maclodio si svolse il 12 ottobre 1427 tra le truppe del Duca di Milano Filippo Maria Visconti e quelli della Repubblica di Venezia e di Firenze, unite in una lega antiviscontea. Sebbene fosse stato uno scontro con molti uomini, i morti furono relativamente pochi. Copiosi invece erano stati i prigionieri ed il bottino conquistato. Ma dopo un sol giorno gran parte dei milanesi catturati furono liberati per ordine del Carmagnola. Qusta mossa giustificò i sospetti da parte della Repubblica di Venezia verso il suo capitano di ventura, che fu accusato, processato e giustiziato. La vicenda fu fonte d'ispirazione per Il Conte di Carmagnola, opera di Alessandro Manzoni.

Nella “lettre a Monsieur Chauvet” (1820), un critico classicista francese che aveva formulato numerosi appunti al “Conte di Carmagnola”, il problema si amplia fino ad investire il rapporto tra storia e poesia; l’una e l’altra, secondo il Manzoni, debbono avere per oggetto il vero; unica loro differenziazione è il modo di trattarlo. Compito della storia è precisare i fatti con assoluta fedeltà e obiettività, compito della poesia è mettere in luce affetti, dolori, sentimenti dei protagonisti di tali avvenimenti, penetrando nell’animo sia dei vinti che dei vincitori, sia dei popoli che dei singolo individui, sia dei servi che dei padroni. La poesia, inoltre, è un completamento della storia anche dal punto di vista religioso, perché può esaltare il compito della Provvidenza e il suo operato nella vita degli uomini.

Il maggiore tentativo di dare una sistemazione organica e critica al suo ideale letterario il Manzoni lo compì nella “Lettera sul Romanticismo” al marchese Cesare d’Azeglio (1823, ma pubblicata solo nel 1871): inizialmente vi si trovava la nota formula “la letteratura deve proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo”, ma nella redazione definitiva questa formula fu ridotta al solo vero, in quanto essa appariva di per sé anche interessante e utile.
La letteratura, dunque, doveva proporsi fini educativi per il popolo, trattare argomenti attuali, moderni, popolari, di interesse generale e non individuale, ma soprattutto attenersi al vero storico, arricchendolo con approfondimenti psicologici.
Nella lettera l’esposizione delle dottrine romantiche è suddivisa in  due parti: quella negativa, che esclude l’imitazione dei classici e il ricorso alla mitologia, e quella positiva, che si riassume nella teoria del vero e che apre la strada al realismo.

Nel “Discorso sul romanzo storico” (1830, ma pubblicato nel 1842), dopo un’ulteriore riflessione sulla natura del vero, il Manzoni negò la possibilità di una coesistenza, nella medesima opera, di storia e poesia: da qui la condanna del romanzo storico, che presenta una ibrida mescolanza di storia e di invenzione, di fatti e di avvenimenti fantastici. Tale condanna, che implicitamente negava valore al suo stesso romanzo, è da far risalire al pregiudizio che il verosimile sia, per natura, inferiore alla verità storica; per cui da questo momento il Manzoni indirizzerà completamente la sua attività alla storiografia.