Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

mercoledì 23 ottobre 2013

La lira immortale di Saffo

Il video che segue è tratto dall'opera Sapho di Charles Gounod e si presta meravigliosamente a fare da colonna sonora alla lettura della canzone di Leopardi che segue, appunto l'Ultimo canto di Saffo.


A Mitilene fervono i preparativi per l’olimpiade: Phaon, che cospira con Phyhéas contro il tiranno Pittacus, è diviso tra l’amore per Glycère e quello per Sapho; l’una è la bellezza, l’altra il genio. Durante una gara poetica, Alcée infiamma il popolo cantando libertà e rivolta ma è Sapho a trionfare con un’appassionata ode amorosa, che le vale la vittoria e una pubblica dichiarazione d’amore di Phaon. Convinti da Alcée, Phaon e Pythéas firmano la congiura contro il tiranno. Glycère, tormentata dalla gelosia, riesce a sottrarre a Pythéas il documento che prova la colpevolezza dell’amato. Affronta quindi la poetessa, svelandole la trama eversiva : se vuole salvare Phaon dovrà tacere e lasciar credere la propria incostanza; quanto a Phaon, parta da Mitilene, solo, in esilio. Sapho, innamorata più che mai, accetta le condizioni della terribile rivale. Sopraggiunto Phaon, e Glycère lo informa del pericolo che pende sul suo capo. Phaon vuol fuggire e chiede a Sapho di partire con lui, ma costei, con uno sforzo supremo, lo sollecita a partire solo. Ella non l’ama più; compiangendo l’amore perduto, Phaon si appresta a salpare e maledice Sapho. La donna, dopo aver implorato la benedizione degli dèi per l’amato, si uccide gettandosi in mare.



Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de' Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
De' colorati augelli, e non de' faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De' celesti si posa. Oh cure, oh speme
De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator de' casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perìr gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola. 
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra 
Della gelida morte. Ecco di tante 
Sperate palme e dilettosi errori, 
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva
E l'atra notte, e la silente riva. 

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