Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

mercoledì 30 ottobre 2013

Niente è come sembra.

Yin e Yang rappresentano, nella filosofa cinese, i due principi fondamentali dell’universo.
Yang: il principio positivo, maschile, rappresentato dal colore bianco
Yin: il principio negativo, femminile, rappresentato dal colore nero
E’ importante mettere in evidenza che Yin e Yang non hanno alcun significato morale Buono-Cattivo.
La formazione della polarità Yin-Yang è considerata dai filosofi cinesi la base dell’universo.
Essi costituiscono infatti veri e propri emblemi della dualità fondamentale esistente in ogni parte del cosmo.
All’inizio tutto era in uno stato chiamato Wu Chi, che letteralmente indica “assenza di differenziazioni”.
Ad un certo punto si formarono due “polarità” di segno diverso che interagirono immediatamente dando origine alla cosiddetta Suprema Polarità o T’ai Chi.
L’unione di Yin con Yang è stata raffigurata graficamente in vari modi denominati T’ai Chi Tu, di cui il più popolare è quello qui raffigurato.
Osservandolo possiamo notare che esso è suddiviso in due parti una nera (Yin) ed una bianca (Yang), la cui armonia è simboleggiata dall’uguaglianza delle superfici bianca e nera.
La particolare suddivisione ad “S” fra le due aree fa sì che i perimetri di Yin e di Yang siano uguali al perimetro dell’intera circonferenza.
Inoltre il punto bianco in campo nero e quello nero in campo bianco stanno ad indicare che Yin e Yang non sono assoluti, ma che vi è sempre un po’ di Yin in Yang e viceversa.
Il T’ai Chi T’u va pensato in continua rotazione, così come indicano le frecce, cosa che insieme alla sua forma circolare simboleggia l’evoluzione continua e la ciclicità della natura.
Se infatti vi fosse assenza perpetua di movimento, Yin e Yang non potrebbero differenziarsi e tutto resterebbe nello stato di immobilità iniziale privo di ogni differenziazione.
Da tutto ciò possiamo facilmente renderci conto che Yin e Yang non sono considerati elementi contrastanti, bensì complementari e inscindibili.
Bisogna quindi cercare un’armonia fra di loro ed evitare qualsiasi situazione sbilanciata. Tutte le distinzioni sono inoltre relative:
quello che può essere Yin relativamente ad una cosa può contemporaneamente essere anche Yang in rapporto ad un’altra.



Qui di seguito alcune opere di Mauritius Cornelis Escher (1898 –  1972), incisore e grafico olandese, noto per le sue opere che tendono a presentare costruzioni impossibili, esplorazioni dell'infinito, tassellature del piano e dello spazio e motivi a geometrie interconnesse che cambiano gradualmente in forme via via differenti. 
Le avrete notate anche nel video della canzone di Franco Battiato postato poco sopra.




martedì 29 ottobre 2013

Parole nuove - Bellezza

Secondo appuntamento con le parole nuove. 

Scelgo di recuperare il concetto di Bellezza.

Sandro Botticelli, La nascita di Venere, 1484–1486, particolare


"Noi non vediamo le cose per ciò che sono, ma per ciò che siamo"

La Bellezza è nei nostri occhi, quando sappiamo ancora sorprenderci. 

E' nelle nostre intenzioni, quando progettiamo un mondo più giusto. 

E' nei nostri gesti, quando sanno di accoglienza e gratitudine. 

La Bellezza è ovunque. 
In tutto ciò che accade, o semplicemente è. 

Dipende da noi. 

Può bastare un solo sguardo, se è bello. Dentro.













Dante, Paradiso VI, analisi.

Dante, Paradiso VI, analisi.

venerdì 25 ottobre 2013

« Diavoli dell'inferno! »

Martin Mystère è una serie a fumetti edita dalla Sergio Bonelli Editore dal 1982 e ideata da Alfredo Castelli. È incentrata sulle avventure di un professore (un antenato di Indiana Jones?) che indaga su molti misteri non risolti come Atlantide e altri luoghi mitici e leggendariUFOparapsicologia, enigmi della storia, dell'archeologia e della scienza.
Il fumetto è considerato il punto di passaggio tra le serie classiche della Bonelli (TexZagorMister No) e quelle del nuovo corso (Dylan DogNick RaiderNathan Never), sia per le tematiche trattate, sia per aver aperto la strada a nuove iniziative di carattere editoriale. Martin Mystère ha messo in crisi la tradizionale divisione della critica tra pubblicazioni cosiddette di prestigio e quelle popolari, tra fumetto d'autore e fumetto seriale.


Martin Jacques Mystère, soprannominato Il Detective dell'Impossibile, è uno studioso che si occupa in maniera scientifica di fatti apparentemente "impossibili", ritenuti inspiegabili dalla scienza ufficiale e facilmente rimossi.
Una caratteristica che lo differenzia dalla maggior parte degli eroi di fumetti (con l'esclusione di Valentina di Crepax e di Dick Tracy di Chester Gould) è quella di avere una data di nascita (26 giugno 1942). Il professor Martin Jacques Mystère, che vive a New York in oltre 20 anni è invecchiato e si è trasformato nel BVZM (il Buon Vecchio Zio Marty).
Da giovane ricercatore che si gettava allegramente, in piena notte, con il deltaplano dalle alte rupi di inviolati monasteri greci, tenendo in tasca un'antica arma a raggi paralizzante chiamata Murchadna proveniente dal perduto continente di Mu, attualmente Mystère passa più tempo davanti al suo fido Macintosh per preparare (in perenne ritardo) il prossimo libro e soprattutto le puntate del suo programma televisivo, "I Misteri di Mystère" che riscuote un discreto successo, tanto da permettergli di finanziare gli avventurosi viaggi ma anzitutto l'acquisto di libri per la sua straripante biblioteca.
L'avventura per il Detective dell'Impossibile è, prima di tutto, una nuova esperienza della mente. Che si tratti di portare alla luce testimonianze di civiltà dimenticate, di scoprire perché un antico villaggio in Francia è abitato da licantropi, di lottare contro gli spietati Uomini in Nero che vorrebbero distruggere ogni traccia del nostro remoto passato, Martin Mystère guida il lettore alla incessante scoperta di bellezze artistiche, di culture raffinate e poco note, di luoghi incantati e interessanti curiosità archeologiche. Il tutto documentato in modo quasi maniacale dagli autori.
Oltre ai fumetti di Martin Mystère, spesso e volentieri strizzano l'occhio al sapere colto e all'arte anche altri fumetti che consiglio di leggere. Un esempio? Dylan Dog: qui sotto una  citazione del famoso quadro di E. Munch, L'urlo




mercoledì 23 ottobre 2013

La lira immortale di Saffo

Il video che segue è tratto dall'opera Sapho di Charles Gounod e si presta meravigliosamente a fare da colonna sonora alla lettura della canzone di Leopardi che segue, appunto l'Ultimo canto di Saffo.


A Mitilene fervono i preparativi per l’olimpiade: Phaon, che cospira con Phyhéas contro il tiranno Pittacus, è diviso tra l’amore per Glycère e quello per Sapho; l’una è la bellezza, l’altra il genio. Durante una gara poetica, Alcée infiamma il popolo cantando libertà e rivolta ma è Sapho a trionfare con un’appassionata ode amorosa, che le vale la vittoria e una pubblica dichiarazione d’amore di Phaon. Convinti da Alcée, Phaon e Pythéas firmano la congiura contro il tiranno. Glycère, tormentata dalla gelosia, riesce a sottrarre a Pythéas il documento che prova la colpevolezza dell’amato. Affronta quindi la poetessa, svelandole la trama eversiva : se vuole salvare Phaon dovrà tacere e lasciar credere la propria incostanza; quanto a Phaon, parta da Mitilene, solo, in esilio. Sapho, innamorata più che mai, accetta le condizioni della terribile rivale. Sopraggiunto Phaon, e Glycère lo informa del pericolo che pende sul suo capo. Phaon vuol fuggire e chiede a Sapho di partire con lui, ma costei, con uno sforzo supremo, lo sollecita a partire solo. Ella non l’ama più; compiangendo l’amore perduto, Phaon si appresta a salpare e maledice Sapho. La donna, dopo aver implorato la benedizione degli dèi per l’amato, si uccide gettandosi in mare.



Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de' Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
De' colorati augelli, e non de' faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De' celesti si posa. Oh cure, oh speme
De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator de' casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perìr gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola. 
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra 
Della gelida morte. Ecco di tante 
Sperate palme e dilettosi errori, 
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva
E l'atra notte, e la silente riva. 

martedì 22 ottobre 2013

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNNNNNN



Suona la campanella dell'ultima ora.

In una immaginaria I XYZ del Liceo Scientifico di (M)arz(i)ano:

Io: Buongiorno ragazzi
In coro: Buongiorno Professoressa!
Io: Allora oggi prima di tutto correggiamo gli esercizi che avevate per casa.
In coro: Professoressa!
Io: Dimmi, Paolo…
Paolo: Correggiamo gli esercizi per casa?
Io:....
In coro: …Uhm…mhm…bh….
Io: E' quello che ho appena detto
Loro: Ah, sì.
Io: Eh. Allora per casa avevate gli es. 1-2-3-4 p 171.
Loro: Professoressa!
Io: Dimmi, Anna…
Io: L'esercizio 5 era da fare?
Io: …No, non era da fare, l'ho appena detto. Cominciamo con l'es. 1.
Loro: Professoressa!
Io: Dimmi, Raffaele…  
Loro: Per casa, c'erano gli esercizi 1-2-3-4 p. 171, vero?
Io: ...L'ho appena detto!
Loro: ah sì.
Io: Eh!
Giusy: Professoressa! Io alla frase 3 dell'esercizio 4 a p. 172 ho scritto....
Io: Ho detto esercizio 1!!!! Al 4 ci arriviamo dopo!!
Alessandro: Sì, ma io ho fatto quelli di pagina 172, invece di pagina 171.
Mario: Professoressa, io invece li ho fatti ma ho lasciato il quaderno a casa.
Michele: Professoressa, posso venire a farle vedere i miei esercizi???
Maria: Professoressa, io all'esercizio 1, nella frase numero 3, ho scritto "fosse"
Valentino: Noooooooooo! "sarebbe" dovevi mettere!
Maria: Ah sì, tu sai tutto eh?
In coro: Ma se non li hai neanche fatti i compiti! Professoressa, Piscopo non li ha fatti!
Valentino: Io non li ho fatti! E tu invece... professoressa! Andrea mi dice che non ho fatto i compiti....
In coro: Professoressa!
(repeat): Professoressa! 
(repeat): Professoressa!
(repeat): Professoressa!
(repeat): Professoressa!


…………
 

In sparuti gruppi: Ma dov'è andata? La professoressa se n'è andata! 
Ha detto che aveva da fare delle fotocopie urgenti…
vuoi vedere che passa l’ora e gli esercizi non li correggiamo?







domenica 20 ottobre 2013

Acre


Acre ha un superlativo irregolare: acerrimo. 

Tanto per fare un esempio, la grammatica è acerrima nemica dell’ignoranza.


sabato 19 ottobre 2013

La ginestra di Giacomo Leopardi

la ginestra

Quadri d'insieme - La ginestra di Giacomo Leopardi


L'ira di Achille


Nella mitologia e nella letteratura Greca vi sono innumerevoli esempi di uomini colpevoli di ubriV e dunque puniti dagli Dèi.
Nell'Iliade la parola ubriV compare nel verso 204 del libro I; il contesto è un’ assemblea dei soldati Achei per decidere il da farsi riguardo alla restituzione di Criseide, figlia del sacerdote di Apollo Crise.
Durante l’ assemblea Agamennone,  padrone di Criseide e comandante degli Achei, si dichiara disposto a restituire la schiava solo se gli verrà consegnata un’ altra donna, Briseide, di proprietà di Achille. 
Quest’ ultimo, irato per l’ offesa di Agamennone al suo onore, è incerto se punire la sua arroganza (la ubriV, appunto) con le armi o se lasciar perdere. 
Ma a questo punto interviene la dea della saggezza, Atena, che trattiene Achille per non fargli attaccare Agamennone.
Infatti Agamennone, oltre ad aver oltraggiato e malmenato il sacerdote di Apollo Crise (causando così l’ ira del dio), insulta Achille e lo costringe a donargli il suo stesso bottino di guerra, Briseide, oltraggiando così la sua tìme (il suo onore).


Degli Achivi era Crise alle veloci
prore venuto a riscattar la figlia
con molto prezzo. In man le bende avea,
e l'aureo scettro dell'arciero Apollo:
e agli Achei tutti supplicando, e in prima
ai due supremi condottieri Atridi:
O Atridi, ei disse, o coturnati Achei,
gl'immortali del cielo abitatori
concedanvi espugnar la Prïameia
cittade, e salvi al patrio suol tornarvi.
Deh mi sciogliete la diletta figlia,
ricevetene il prezzo, e il saettante
figlio di Giove rispettate. - Al prego
tutti acclamâr: doversi il sacerdote
riverire, e accettar le ricche offerte.
Ma la proposta al cor d'Agamennóne
non talentando, in guise aspre il superbo
accommiatollo, e minaccioso aggiunse:
Vecchio, non far che presso a queste navi
ned or né poscia più ti colga io mai;
ché forse nulla ti varrà lo scettro
né l'infula del Dio. Franca non fia
costei, se lungi dalla patria, in Argo,
nella nostra magion pria non la sfiori
vecchiezza, all'opra delle spole intenta,
e a parte assunta del regal mio letto.
Or va, né m'irritar, se salvo ir brami.



O d'avarizia al par che di grandezza
famoso Atride, gli rispose Achille,
qual premio ti daranno, e per che modo
i magnanimi Achei? Che molta in serbo
vi sia ricchezza non partita, ignoro:
delle vinte città tutte divise
ne fur le spoglie, né diritto or torna
a nuove parti congregarle in una.
Ma tu la prigioniera al Dio rimanda,
ché più larga n'avrai tre volte e quattro
ricompensa da noi, se Giove un giorno
l'eccelsa Troia saccheggiar ne dia.
E a lui l'Atride: Non tentar, quantunque
ne' detti accorto, d'ingannarmi: in questo
né gabbo tu mi fai, divino Achille,
né persuaso al tuo voler mi rechi.
Dunque terrai tu la tua preda, ed io
della mia privo rimarrommi? E imponi
che costei sia renduta? Il sia. Ma giusti
concedanmi gli Achivi altra captiva
che questa adegui e al mio desir risponda.
Se non daranla, rapirolla io stesso,
sia d'Aiace la schiava, o sia d'Ulisse,
o ben anco la tua: e quegli indarno
fremerà d'ira alle cui tende io vegna.
Ma di ciò poscia parlerem. D'esperti
rematori fornita or si sospinga
nel pelago una nave, e vi s'imbarchi
coll'ecatombe la rosata guancia
della figlia di Crise, e ne sia duce
alcun de' primi, o Aiace, o Idomenèo,
o il divo Ulisse, o tu medesmo pure,
tremendissimo Achille, onde di tanto
sacrificante il grato ministero
il Dio ne plachi che da lunge impiaga.
Lo guatò bieco Achille, e gli rispose:
Anima invereconda, anima avara,
chi fia tra i figli degli Achei sì vile
che obbedisca al tuo cenno, o trar la spada
in agguati convegna o in ria battaglia?
Per odio de' Troiani io qua non venni
a portar l'armi, io no; ché meco ei sono
d'ogni colpa innocenti. Essi né mandre
né destrier mi rapiro; essi le biade
della feconda popolosa Ftia
non saccheggiâr; ché molti gioghi ombrosi
ne son frapposti e il pelago sonoro.
Ma sol per tuo profitto, o svergognato,
e per l'onor di Menelao, pel tuo,
pel tuo medesmo, o brutal ceffo, a Troia
ti seguitammo alla vendetta. Ed oggi
tu ne disprezzi ingrato, e ne calpesti,
e a me medesmo di rapir minacci
de' miei sudori bellicosi il frutto,
l'unico premio che l'Acheo mi diede.
Né pari al tuo d'averlo io già mi spero
quel dì che i Greci l'opulenta Troia
conquisteran; ché mio dell'aspra guerra
certo è il carco maggior; ma quando in mezzo
si dividon le spoglie, è tua la prima,
ed ultima la mia, di cui m'è forza
tornar contento alla mia nave, e stanco
di battaglia e di sangue. Or dunque a Ftia,
a Ftia si rieda; ché d'assai fia meglio
al paterno terren volger la prora,
che vilipeso adunator qui starmi
di ricchezze e d'onori a chi m'offende.
Fuggi dunque, riprese Agamennóne,
fuggi pur, se t'aggrada. Io non ti prego
di rimanerti. Al fianco mio si stanno
ben altri eroi, che a mia regal persona
onor daranno, e il giusto Giove in prima.
Di quanti ei nudre regnatori abborro
te più ch'altri; sì, te che le contese
sempre agogni e le zuffe e le battaglie.
Se fortissimo sei, d'un Dio fu dono
la tua fortezza. Or va, sciogli le navi,
fa co' tuoi prodi al patrio suol ritorno,
ai Mirmìdoni impera; io non ti curo,
e l'ire tue derido; anzi m'ascolta.
Poiché Apollo Crisëide mi toglie,
parta. D'un mio naviglio, e da' miei fidi
io la rimando accompagnata, e cedo.
Ma nel tuo padiglione ad involarti
verrò la figlia di Brisèo, la bella
tua prigioniera, io stesso; onde t'avvegga
quant'io t'avanzo di possanza, e quindi
altri meco uguagliarsi e cozzar tema.
(Iliade, I, 121-187)



Di furore infiammâr l'alma d'Achille
queste parole. Due pensier gli fêro
terribile tenzon nell'irto petto,
se dal fianco tirando il ferro acuto
la via s'aprisse tra la calca, e in seno
l'immergesse all'Atride; o se domasse
l'ira, e chetasse il tempestoso core.
Fra lo sdegno ondeggiando e la ragione
l'agitato pensier, corse la mano
sovra la spada, e dalla gran vagina
traendo la venìa; quando veloce
dal ciel Minerva accorse, a lui spedita
dalla diva Giunon, che d'ambo i duci
egual cura ed amor nudrìa nel petto.
Gli venne a tergo, e per la bionda chioma
prese il fiero Pelìde, a tutti occulta,
a lui sol manifesta. Stupefatto
si scosse Achille, si rivolse, e tosto
riconobbe la Diva a cui dagli occhi
uscìan due fiamme di terribil luce,
e la chiamò per nome, e in ratti accenti,
Figlia, disse, di Giove, a che ne vieni?
Forse d'Atride a veder l'onte? Aperto
io tel protesto, e avran miei detti effetto:
ei col suo superbir cerca la morte,
e la morte si avrà. - Frena lo sdegno,
la Dea rispose dalle luci azzurre:
io qui dal ciel discesi ad acchetarti,
se obbedirmi vorrai. Giuno spedimmi,
Giuno ch'entrambi vi difende ed ama.
Or via, ti calma, né trar brando, e solo
di parole contendi. Io tel predìco,
e andrà pieno il mio detto: verrà tempo
che tre volte maggior, per doni eletti,
avrai riparo dell'ingiusta offesa.
Tu reprimi la furia, ed obbedisci.
E Achille a lei: Seguir m'è forza, o Diva,
benché d'ira il cor arda, il tuo consiglio.
Questo fia lo miglior. Ai numi è caro
chi de' numi al voler piega la fronte
(Iliade, I, 188-214)



(Achille perde Briseide, trascinata fuori dalla tenda da un guerriero mandato dal re Agamennone)








Il punto di vista



«Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. [...] È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Anche se può sembrarvi sciocco, o assurdo... ci dovete provare!»


giovedì 17 ottobre 2013

Utopia


da un forte radicamento nella comprensione del reale può nascere un ideale. 


(Lingue morte per le Lingue vive)



un'utopia, in effetti, cos'è?

ou+topos = non luogo
eu+topos = buon luogo

è quella cosa che sta proprio in mezzo tra l'irrealizzabilità e la meta a cui tendere
(nonostante le disillusioni di questo mondo).






martedì 15 ottobre 2013

Parole nuove - Abbondanza


L'intenzione è quella di inaugurare una nuova rubrica, quella delle parole nuove.

Cosa si intende per parole nuove? 

Sono parole bellissime per chi scrive e le propone, raccolte in un vocabolario che vuol cercare di ridare direzione e senso a ciò che, in tempi di grave insignificanza, dobbiamo e vogliamo fare. 

Sono parole dimenticate e significati nuovi. 

Oppure parole nuove e significati dimenticati. 

O ancora parole dette e ascoltate con nuove e inedite intenzioni. 

Insomma parole “piene” che facciano accadere le cose.

Ogni quindici giorni, una lettera e una parola, una breve spiegazione, e qualche immagine da cui trarre ispirazione. 




Scelgo di iniziare con la A di Abbondanza.


Abbondanza di relazioni, idee, progetti e intenzioni.

Un'abbondanza capace di includere le differenze e di generare continue possibilità.

Dove ci sia spazio per il contributo di ciascuno e per la partecipazione di tutti.

Un'abbondanza che non abbia più bisogno di misurare il prendere e il dare, perchè fondata sulla fiducia e sulla generosità. 

Reciproche.







Alla prossima!