Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

martedì 20 dicembre 2016

IL MIGLIOR FABBRO Presentazione Simona S.

IL MIGLIOR FABBRO Presentazione Rita M.

IL MIGLIOR FABBRO Presentazione Marta C.

IL MIGLIOR FABBRO Presentazione Giusy T.

IL MIGLIOR FABBRO Presentazione Elena V.

IL MIGLIOR FABBRO Presentazione Antonio D.

IL MIGLIOR FABBRO Presentazione Raffaella L.

IL MIGLIOR FABBRO Presentazione Francesco C.

giovedì 14 aprile 2016

Sebastiano Timpanaro e il materialismo di Leopardi


Mentre molti studi classici su Leopardi sono decisamente invecchiati nelle idee come nel linguaggio,  quelli di Sebastiano Timpanaro mantengono un grande interesse.  Ciò è dovuto in buona parte allo stile saggistico di questo autore,  improntato a una chiarezza e ad una comunicatività esemplari.  La tesi di Timpanaro è che l'attualità di Leopardi (il “valore permanente” del suo pensiero)  sia nella sua visione strettamente materialistica dell'esistenza,  ben diversa da quella del materialismo di orientamento marxista e,  diversamente da quello,  molto più comprensiva e generale.  Si propone di seguito un brano da “Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano”.

Il pessimismo del Leopardi,  nella sua seconda e più matura fase,  trae origine appunto dalla constatazione di certi dati fondamentali della vita fisica dell'uomo (“vecchiezza e morte”)  che sono in contrasto con quella aspirazione alla felicità che è,  anch'essa,  una tendenza naturale dell'uomo.  Il Leopardi non ignora affatto  che anche la natura   ha la sua storicità,  ma sa che è  una storicità di ritmo incomparabilmente più lento,  di carattere meccanico e inconsapevole,  a cui non si può attribuire alcun teleologismo o  provvidenzialismo.   Egli non ignora nemmeno la possibilità di forzare la natura stessa (basti  ricordare quel pensiero sulla “futura civilizzazione dei bruti e massime di qualche specie,  come delle scimmie,  da operarsi dagli uomini a lungo andare”,  in modo da poter associare anche questi animali “alla grande alleanza degli esseri intelligenti contro la natura e contro alle cose non intelligenti”);  ma ritiene che tale intervento dell'uomo sulla natura non potrà mai giungere a modificare quei dati fondamentali a cui accennavamo sopra,  dai quali inevitabilmente scaturisce l'infelicità.
In questo senso schiettamente materialistico si può,  a mio parere, parlare di un valore permanente del pessimismo leopardiano,  senza nulla concedere a interpretazioni metafisiche ed esistenzialistiche  del pensiero del Leopardi e senza affatto rinunciare  a indagare le esperienze concrete -  individuali e storico sociali -  da cui quel pessimismo nacque.

Caspar David FriedrichThe Sea of Ice (1823–24)


A più riprese,  nel suo saggio,  Luporini osserva che ciò che impedì al  Leopardi di sviluppare fino in fondo il nucleo progressista del suo pensiero fu la mancanza della dialettica,  il nuovo strumento mentale che si andava elaborando in quegli anni nella filosofia tedesca.  Il Leopardi, anzi, arriverebbe alle soglie del concetto dialettico in quel gruppo di pensieri dello Zibaldone in cui nota che le “contraddizioni palpabili che sono in natura” (aspirazione naturale dei viventi alla felicità e impossibilità naturale di conseguirla:  perpetuazione della vita della specie che si attua solo attraverso la distruzione degli individui)  sembrerebbero infirmare la validità del principio stesso che non può una cosa insieme essere o non essere,  su cui si basa la nostra ragione.  Ora,  è indubbio che qui il Leopardi constata una difficoltà logica che gli appare,  giustamente,  insolubile col vecchio strumento della logica aristotelica.  Ma supporre che l'acquisizione di un nuovo strumento teoretico (la logica dialettica)  avrebbe indicato al Leopardi,  o possa indicare a un leopardiano del secolo  XX,  la via per superare il pessimismo,  significa disconoscere il carattere tutto pratico,  sensistico-edonistico,  del pessimismo leopardiano.  per un pensatore così profondamente antiteoreticista,  antimetafisico come Leopardi,  l'infelicità non si supera dialettizzandola  sul piano logico,  ma soltanto (ove ciò sia possibile)  eliminandola di fatto.  Dopo aver messo in risalto l'incomprensibilità -  dal punto di vista della logica formale  - della contraddizione tra vitalità e infelicità,  il Leopardi soggiunge,  quasi a mettere in guardia contro ogni attenuazione del secondo termine: “intanto l'infelicità necessaria dei viventi è certa” (Zibaldone, p. 4100).
Non c'è bisogno,  a guardar bene,  di far la storia con un “se” (“se Leopardi avesse conosciuto la logica dialettica…”).  La tesi provvidenzialistica secondo la quale Dio  o la natura  consegue,  pur attraverso l'infelicità dei singoli individui,  la felicità generale dell'umanità,  o la variante della stessa tesi,   secondo cui la civiltà moderna assicurerebbe,  se non la felicità degli individui,  la felicità delle masse,  erano,  a loro modo,  tentativi di superamento dialettico del pessimismo.  Non si vuole certo,  con ciò,  equipararli alla logica hegeliana sul piano teoretico:  si vuol dire soltanto che esercitarono una funzione analoga in rapporto al problema dell'infelicità umana.  Il pessimismo sarebbe effetto di una considerazione frammentaria e statica della realtà,  di un'incapacità di vedere il singolo nella sua relazione con il tutto.  Ebbene,  il Leopardi,  seguendo Voltaire e andando molto oltre Voltaire,  non si è mai stancato di respingere e di deridere tale soluzione dialettica,  proprio perché essa è una soluzione  illusoria,  una negazione ideale che maschera la reale incapacità di liberare l'uomo dall'oppressione che su di esso esercita la natura.

Sotto questo aspetto,  la polemica leopardiana contro gli apologeti della divinità o della natura presenta una reale analogia con la polemica marxista contro la pretesa degli hegeliani (e di tutta una millenaria tradizione filosofica)  di sopprimere l'alienazione umana nel pensiero e non,  prima di tutto,  nella realtà:  di giustificare il mondo e non di cambiarlo.  Soltanto,  per il pensiero marxista la realtà che è causa dell'infelicità umana è essenzialmente  una realtà economico-sociale;  per il Leopardi è essenzialmente una realtà fisico biologica.  Per il marxista la forza condizionatrice della natura sull'uomo si è esercitata soprattutto ai primordi dell'umanità,  in una specie di prologo o di antefatto preistorico:  da quando l'uomo ha cominciato a lavorare e a produrre,  la natura avrebbe cominciato a ridursi (e sempre più si ridurrebbe in futuro)  a mero oggetto di attività umana:  l'uomo storico metterebbe sempre più in ombra,  e alla fine assorbirebbe e supererebbe del tutto l'uomo naturale.  Per il Leopardi la natura conserva anche di fronte all'uomo civilizzato tutta la sua formidabile forza lavoratrice e distruttrice:  perciò la lotta dell'uomo contro la natura si configura nel pensiero leopardiano come una lotta disperata,  e la distruzione di tutti i miti non dà luogo a una visione ottimistica  della realtà,  ma a un pessimismo lucido e combattivo.



lunedì 28 marzo 2016

L'amore innato per la lettura

Ogni essere umano sa che le storie sono ciò di cui più si ha bisogno nella vita. Basti tornare indietro nel tempo e ripensare a quando, in società nascenti,  si raccontavano storie intorno al fuoco per alimentare la fantasia e tramandare il ricordo di sé.

Le storie sono ovunque ed è attraverso di esse che noi definiamo il nostro mondo e scopriamo quale sia in esso il nostro posto. Le storie ci aiutano a capire la realtà in cui viviamo, ci insegnano da dove veniamo e ci aiutano a intravedere possibili scenari futuri.
Le storie sono insieme la nostra educazione e la nostra evoluzione.

Tutta questa introduzione per dire che è importante capire che,  sia a livello consapevole che inconsapevole, tutti i bambini sono in qualche modo potenziali amanti dei libri. Ogni bambino già ama le storie attraverso i film che guarda al cinema o in televisione o attraverso i video games.  Ogni bambino sa quale tipo di storia preferisce. E film, televisione e videogames non sono necessariamente da intendersi come nemici degli educatori, piuttosto metodi alternativi per raccontare storie.

Quello che invece noi educatori dobbiamo fare è incoraggiare ogni bambino ad apprezzare il racconto delle storie scritte e avvicinare alla lettura. Infatti  è difficile, se non impossibile, innalzare il proprio livello di esperienza se non si è capaci di leggere, perché essere capaci di leggere significa avere la possibilità di rimanere alunni per la vita, col desiderio costante di apprendere e crescere come individui e cittadini di una società libera di pensiero.



Per prima cosa occorre fare un passo verso i bambini accostandosi al loro mondo,  parlando loro dei loro film preferiti, degli spettacoli televisivi che guardano o dei video games che amano,  magari proponendo libri che abbiano per protagonisti gli stessi personaggi o per trama storie simili. Sarebbe un modo per far capire ai bambini che ciò che a loro piace esiste anche in forma scritta. E incoraggiarli, poi, a scrivere storie proprio con quei personaggi, condividendole poi con altri coetanei.

Potremmo poi proporre qualche buon libro, anche dando più titoli al giorno, per dimostrare che leggere è una attività che fa parte di ogni singola giornata  della vita, che si può fare in qualsiasi momento. La lettura non va imposta, solo suggerita: se diamo ai bambini solo una indicazione, se li lasciamo liberi di scegliere cosa leggere, noi creiamo opportunità per un apprendimento più profondo, più pervasivo, più personale, molto più efficace.

Ma la cosa più importante da fare per appassionare un bambino alla lettura è leggere con lui.  Nella mia infanzia era mio padre quello che mi introduceva alla gioia della lettura. Ma gli insegnanti non sono meno influenti nella esperienza dei loro studenti: quando io ripenso ai miei giorni di scuola, ricordo pochi insegnanti di cui la passione per un argomento fosse in grado di ispirare una simile passione in me.  Quando gli insegnanti trovano il modo di mostrare agli studenti quanto sia stato e sia importante leggere per la loro propria vita, si apre la porta per la lettura.

Noi oggi abbiamo molti più strumenti per ricevere storie di quanti ce ne fossero in passato: nei video games noi diamo vita a  un personaggio dentro una storia, nei film ci immedesimiamo in una vicenda e viviamo un pezzo di vita alternativa nello spazio di pochi qualche decina di minuti, nei libri apprendiamo emozioni complesse e motivazioni che vanno ben oltre  la situazione evidente. Insomma ogni canale è unico con i suoi pregi e i suoi limiti: quando usati insieme, noi possiamo inculcare nei nostri studenti non soltanto l'amore per le varie forme di racconto ma anche il senso di come noi esseri umani abbiamo lo storytelling nel nostro DNA.

martedì 15 marzo 2016

Inferno, canto 10° - scheda di comprensione e analisi



IL CIMITERO DEGLI EPICUREI

1) Indica come è costruito il canto, che ha un suo preciso equilibrio interno e può essere definito "chiuso".

2) Spiega il peccato che viene punito in questo cerchio e la legge del contrappasso.

3) Tenendo presente il suo pensiero filosofico, è giusto considerare Epicuro un eretico? Perchè Dante lo inserisce in questo luogo?

FARINATA DEGLI UBERTI (attoI)

4) Farinata appare a Dante improvvisamente: come si presenta e perchè lo interpella?

5) Qual è la reazione di Dante? Come lo sollecita Virgilio?

6) Riferendoti al testo, evidenzia gli elementi linguistici che connotano il carattere del Ghibellino (considera le sue parole, la sua postura e la sua impassibilità).

7) Ricostruisci gli eventi storici a cui si allude nel dialogo - vero duello verbale tra il guelfo e il ghibellino - tenendo presente anche la biografia di Farinata.

CAVALCANTE DE' CAVALCANTI (atto II)

8) Anche Cavalcante appare a Dante improvvisamente, a interrompere il suo colloquio con Farinata, ma l'immagine è decisamente diversa sia per la posizione che assume sia per il tono delle sue parole. Spiega.

9) Un equivoco sta alla base dell'interferenza del dannato in questione che ha una unica preoccupazione. Indica l'equivoco e la preoccupazione.

10) Parlando del padre, Dante in realtà sembra voler "fare i conti" col figlio. Spiega questa affermazione.

LA PROFEZIA DI FARINATA (atto III)

11) La conclusione del dialogo tra Dante e Farinata ha un tono diverso, pacato e mesto, che culmina con la profezia dell'esilio dantesco. Spiega.

UN DUBBIO DI DANTE

12) Quale dubbio suscitano in Dante le parole di Cavalcanti riguardo al livello di conoscenza dei dannati?

13) Perchè vedono con mala luce?




lunedì 14 marzo 2016

lunedì 29 febbraio 2016

La consecutio temporum dell'indicativo

La consecutio temporum dell'indicativo

Introduzione ai Sepolcri di Ugo Foscolo


Monumento a Michelangelo del Vasari (1570), in Santa Croce.


Il carme, iniziato probabilmente tra il luglio e il settembre del 1806, fu terminato nel dicembre, quando il poeta si trovava a Milano reduce dalla Francia, e pubblicato a Brescia nel 1807.  L'occasione esterna fu l'editto napoleonico di Saint Cloud (del  giugno 1804, esteso all’Italia con decreto del settembre 1806), in base al quale le sepolture dovevano avvenire in appositi cimiteri (non più nelle chiese) collocati fuori della città e le lapidi dovevano essere tutte della stessa grandezza. Da notare, però, che disposizioni simili esistevano già da tempo: fin dal 1768 il governo austriaco aveva prescritto la sepoltura lontana dall'abitato, perciò erano potute andare disperse le ossa del Parini, morto nel 1799.

Le dispute su tali provvedimenti legislativi erano naturalmente frequenti e vive. Ad una di queste partecipò  Foscolo con Pindemonte nel salotto veneziano di Isabella Teotochi Albrizzi e dovette esserne spunto il primo canto allora composto del poemetto pindemontiano sui cimiteri, in cui era difesa l'istituzione della sepoltura da un punto di vista religioso.

Assai diffusa era in quegli anni anche in Italia la lirica sepolcrale, fiorita in Inghilterra e in Francia. Ricordiamo le “Notti” di Young,  le ”Meditazioni sulle tombe” di Hervey, l' “Elegia sopra un cimitero campestre” di Grey, “La sepulture” di Legouvé. Anche in Italia non erano mancate composizioni su tale argomento prima dei “Cimiteri” di Pindemonte e dei “Sepolcri” di Foscolo, per esempio le “Notti romane al sepolcro degli Scipioni” di Alessandro Verri. Questa corrente di poesia sepolcrale può essere stata di stimolo al Foscolo, sempre attento alle mode letterarie

I “Sepolcri” hanno forma di epistola in endecasillabi dedicata a Pindemonte. La prima parte del carme è soprattutto elegiaca, quando accenna alla perpetua trasformazione  dell’universo, canta il risorgere della vita intorno alle tombe, quando rievoca accoratamente il Parini o descrive la rappresentazione dei cimiteri pagani e inglesi. Nella seconda parte domina il tema patriottico e soprattutto della poesia eternatrice, perciò il tono è quello dell'inno nella celebrazione di Firenze, nella esaltazione delle sepolture greche, nel ricordo della battaglia di Maratona, nella figura di Aiace, nella preghiera di Elettra, nella profezia di Cassandra.

Nei Sepolcri confluiscono tutti i temi dell'Ortis,  dei sonetti e delle odi.

  1. fatalità della morte:  il tempo distrugge e trasforma tutto, la materia ritorna alla materia;  quindi con la morte viene meno la vita dell'individuo. Questo concetto lucreziano e della filosofia materialistica del ‘700 si trasforma nell'immagine di un incessante moto, una forza operosa affatica di moto in moto tutte le cose, la natura con veci esterne, destina ad altre forme di vita i miseri avanzi dell'uomo;
  2. bellezza della vita: il carme si apre con l'immagine dei cipressi e delle tombe e subito dopo è sentita la bellezza della vita nelle sue ore future vaghe di lusinghe. In questo continuo intrecciarsi delle immagini di vita e di morte è una delle ragioni più vive del fascino della poesia del carme;
  3. amicizia: “dolce amico” è chiamato il Pindemonte, a cui il carme è dedicato, e di lui Foscolo  ricorda il verso elegiaco, i viaggi giovanili, a cui subito dopo contrappone il proprio incessante peregrinare di esule;
  4. figura del poeta: le immagini dei tre poeti Parini, Alfieri e Omero sono in realtà tre aspetti del Foscolo stesso e insieme simboli dei tre motivi che nel carme si avvicendano: l'amore per le vergini Muse, l'amore della Patria, l'amore della poesia eternatrice;
  5. esilio: l'esilio suggerisce al poeta accenti dolenti e fieri insieme, sia quando pensa alla sua vita raminga sia quando afferma la speranza che lui “ad evocar gli eroi chiamin le Muse”;
  6. sentimento patriottico: il motivo dell'antitesi tra l'Italia passata e la presente avrà grande favore nella poesia romantica, ma voci più vive sono l'esaltazione delle tombe di Santa Croce, la condanna del nuovo dominatore Napoleone e, per contrasto, la simpatia verso l'Inghilterra e Nelson, la commozione per il pianto di Cassandra sulla imminente rovina di Troia a significare il pianto del poeta sulla servitù d’ Italia, la celebrazione del vinto Ettore, eroe per la Patria;
  7. immortalità: non nel senso cristiano ma in quello estetico, come sopravvivenza delle umane memorie ad opera della poesia. Il tempo tutto travolge ma il canto delle Muse vince il silenzio di mille secoli.

Il messaggio del carme può essere così sinteticamente riassunto:

Le tombe, inutili ai morti perché la morte è un totale annullamento, giovano ai vivi:

  1. per motivi sentimentali: esse suscitano nei parenti e negli amici l'illusione che i defunti continuino ancora a vivere. Solo i malvagi, immeritevoli di ricordo, non curano le tombe; perciò a torto la legge accumuna le tombe dei buoni e dei malvagi, degli illustri e degli infami (episodio della tomba del Parini), versi 1-90;
  2. per motivi storici: il culto delle tombe, nato con patto sociale, accompagna in forme sia pure diverse (più serene e dignitose presso i pagani come ora nei cimiteri-giardini degli inglesi, più tristi secondo il rito cattolico) presso tutti i popoli lo sviluppo della civiltà e solo nelle nazioni corrotte e vili sono inutili le tombe, versi 91-150;
  3. per motivi patriottici: le urne dei forti accendono il forte animo ad egregie cose e rendono bella e santa la terra che le accoglie. Gli Italiani dalla venerazione dei loro grandi, soprattutto di quelli accolti in Santa Croce, prenderanno lo spunto per la liberazione della Patria, come gli Ateniesi dalle tombe di Maratona furono infiammati all'odio contro i barbari, versi 151 225;
  4. per motivi poetici: i sepolcri ispirano nei poeti i canti che rendono immortali gli eroi, come prova il sepolcro di Elettra, dalla quale nacquero i Dardanidi fondatori di Roma e progenitori della Giulia gente. Ispirato dai sepolcri dei grandi Troiani sorgerà, come profetizza Cassandra, il canto immortale di Omero che eternerà la gloria dei principi Argivi e soprattutto quella di Ettore, versi 226 295.




lunedì 22 febbraio 2016

Il periodo ipotetico indipendente

Studying by Chunking!





Di cosa parliamo se parliamo di Chunking? Di una tecnica che serve a meglio memorizzare, ma utilissima anche a meglio studiare. Si tratta di scomporre un contenuto in tante porzioni di contenuto minori e quindi più facilmente assimilabili e controllabili. Infatti il verbo To Chunk significa "fare a pezzi" mentre il nome "chunk" indica appunto il singolo pezzo, il blocco, il mattoncino di conoscenza necessario a costruire un edificio più grande.  

Se vuoi saperne di più, dai un'occhiata alle slide che seguono; ti servirà anche a rafforzare il tuo inglese.






lunedì 8 febbraio 2016

Template per una analisi del testo poetico

Per compiere un buon lavoro di analisi e commento di un testo poetico è necessario possedere delle nozioni di base riguardanti la specificità del linguaggio poetico che permettano di individuare all’interno del testo lo stretto rapporto che esiste tra ciò che l’autore dice, cioè il contenuto (o significato), e come lo dice, cioè la forma (o significante). Nella poesia, la forma, è molto più articolata di quella della prosa, perché si concretizza: nel tipo dei versi, nelle rime, nell’aspetto fonico, lessicale, sintattico. Nel testo poetico l’autore crea un rapporto tra forma e contenuto molto più forte di quello presente nel testo in prosa, e tale da costituire un’unione inestricabile, al punto che trasformare la forma equivale a svilire il contenuto. Inoltre, per compiere un’analisi e un commento completi, sono necessarie delle conoscenze letterarie riguardanti : l’autore, la poetica, le sue tematiche più importanti, il contesto storico, le caratteristiche del movimento letterario al quale appartiene, le interpretazioni critiche. Queste informazioni servono anche per scrivere, quando viene richiesto espressamente dalla consegna ministeriale, un commento adeguato, cioè corredato da giudizi opportunamente sostenuti. Di seguito vi presento un possibile percorso, da usare in modo flessibile, scegliendo di volta in volta gli elementi adatti al testo da analizzare, strutturato secondo i tre momenti di analisi fissati dal Ministero.


DOMANDE DI CONTESTUALIZZAZIONE
Ø      Chi è l’autore della poesia?
Ø      Quando, dove e perché (o per chi) è stato scritto il testo?
Ø      La poesia appartiene a una raccolta dell’autore?
Ø      Ci sono relazioni significative tra la poesia che analizziamo e altre composizioni o opere dell’autore?
Ø      Ci sono relazioni rilevanti con opere di altri autori contemporanei o passati?

LA LETTURA E LA PARAFRASI
Ø      Leggi con attenzione il brano
Ø      Consulta note e vocabolario
Ø      Rileggi il testo facendo attenzione alla struttura del periodo
Ø      Scrivi la parafrasi

IL MESSAGGIO
Ø      Chi sono i soggetti lirici presenti nella poesia?
Ø      Quali sono le parole chiave principali e i campi semantici che formano?
Ø      Quali sono le figure retoriche di significato e logiche?

LE FORME DEL DISCORSO POETICO
Ø      Individua misura e struttura formale della composizione
Ø      Ci sono effetti fonici e figure retoriche di suono?

GLI STILI DEL DISCORSO POETICO
Ø      Quale ordine prevale nella struttura del testo rispetto all’ordine dei temi e dei motivi?
Ø      Come risulta lo stile linguistico della poesia?
Ø      Il poeta insiste su particolari figure retoriche di significato? Se sì, come lo spieghi?

IL SIGNIFICATO PROFONDO
Ø      Quale interpretazione complessiva della lirica favoriscono le chiavi della parola poetica e i campi semantici?
Ø      Ci sono figure di significato particolarmente rilevanti per l’interpretazione?

IL COMMENTO
Ø      Quali sono, a tuo avviso, il valore e il ruolo attribuiti dall’autore del componimento per esprimere sentimenti, emozioni, stati d’animo personali e/o collettivi?
Ø      Sintetizza con parole tue il messaggio poetico, esprimendo una valutazione del suo senso complessivo.
Ø      Proponi una interpretazione della poetica dell’autore, nei limiti naturalmente di quanto ti appare suggerire il testo.

Ø      Quale specifica concezione del mondo e dei sentimenti umani emerge dall’analisi della composizione? Come tende a considerare i rapporti tra io-lirico e la sua voce il poeta (es. amore e dolore, vita e morte, individuo e società…)

giovedì 4 febbraio 2016

Le lingue animate

Come possono essersi evolute le lingue indoeuropee? Lo dimostra una mappa animata elaborata nel 2012 da un  team di biologi evoluzionisti dell’Università di Auckland, diretti dal prof. Quentin Atkinson.
Come evolvono le lingue? Un video Ted-ED. CLICCA QUI. 

domenica 31 gennaio 2016

Werther, il giovane scoperto

C. VAROTTI, La scoperta del giovane, da “Tempi e Immagini della Letteratura” (vol. 4, pp. 126-142),  di G. M. Anselmi e C. Varotti, con il coordinamento di E. Raimondi, Bruno Mondadori, Milano, 2003.
“Nel corso del Settecento assistiamo a una forte valorizzazione della giovinezza come stagione privilegiata, contrassegnata da caratteristiche e valori non più sentiti come imperfetti, ma visti come l’espressione positiva di un’energia creativa e rigeneratrice. La figura del giovane diventa così un fattore ricorrente nelle poetiche preromantiche, che propongono la ricerca di nuove e più libere forme espressive, esaltano il sentimento, la passione, il dispiegamento delle forze anche oscure e buie dell’interiorità. Caratteristiche e comportamenti propri della giovinezza, come l’istintività e l’energia anche violenta, vengono sostituiti ai valori positivi tradizionalmente associati alla maturità e alla vecchiaia, come il dominio delle passioni, la moderazione, un rapporto con le cose mediato dal vaglio razionale. […]
Nel romanzo epistolare I dolori del giovane Werther (1774), scritto da un Goethe poco più che ventenne, negli anni in cui era legato al clima tedesco dello Sturm und Drang, il tema della giovinezza del protagonista è proposta fin dal titolo. La condizione di ‘giovane’ che contrassegna infatti Werther non costituisce una circostanza puramente fattuale, ma designa una complessiva condizione esistenziale e sociale.
L”essere giovane’ di Werther è infatti una condizione imprescindibile della sua individualità. Alla giovinezza del protagonista rinviano la sua vitalità immediata; l’insofferenza per il cauto benpensantismo degli uomini maturi, che egli incontra nel suo cammino, uomini perfettamente integrati in un sistema politico-sociale che Werther trova insopportabile e soffocante. Ma è segno inequivocabile della sua giovinezza anche l’atteggiamento entusiastico e appassionato verso ogni aspetto della vita (dalla natura, all’arte, all’amore).
La giovinezza di Werther diventa perciò metafora di un ideale di vita più libero e sincero; all’interno di un’aspirazione complessiva al rinnovamento, che riguarda non solo il mondo degli affetti del protagonista, ma anche la realtà sociale in cui vive, e anche le sue concezioni estetiche.
Nel romanzo l’amore occupa un posto di primo piano (ed è l’amore disinteressato e appassionato; il totale abbandono ai sentimenti e alla passione che caratterizza tanta parte della sensibilità tardosettecentesca); ma in esso c’è anche l’insofferenza del giovane di talento costretto a scalpitare impaziente all’interno di un ordine sociale dominato dalle generazioni più mature, che produce un quadro fortemente critico nei confronti della società tedesca del secondo Settecento, immobile e fondata sul privilegio di classe”.

venerdì 29 gennaio 2016

Il Preromanticismo in Europa

Nell'epoca in cui ancora era diffusa l'ideologia illuministica, alla fine del ‘700, accanto al Neoclassicismo sì cominciarono ad avvertire in Europa alcune tendenze letterarie chiaramente preromantiche. L'elemento tipico del preromanticismo è la sensibilità inquieta che si compiace di meditare sul dolore e sulla morte, di contemplare paesaggi foschi e tempestosi, di abbandonarsi a stati d'animo malinconici e sentimentali.

Per approfondire vedi qui

In Francia le tendenze preromantiche si manifestano nel pensiero stesso del Rousseau, che pure fu uno degli ideologi dell'Illuminismo. Secondo il Rousseau la ragione non è un bene ma il massimo dei mali, perché ci dà la consapevolezza della nostra infelicità.  Nell’ Emilio egli dice che lo stato di riflessione è uno stato contro natura e che il vero stato naturale è l'abbandono alla fantasia e al sentimento.  La personalità di Rousseau è molto significativa per comprendere la crisi dell'Illuminismo.  Egli segna il punto di passaggio dal livellamento illuministico al culto dell'io individuale,  dall'esaltazione della ragione all'esaltazione del sentimento spontaneo.

In Inghilterra le tendenze preromantiche si manifestano nella poesia sepolcrale e notturna, come nei “Pensieri notturni” di Edward Young e nell' “Elegia sopra un cimitero campestre” di Tomas Grey, ma soprattutto nei poemi di James MacPherson, il quale rielaborò alcune leggende popolari ancora vive tra i montanari della Scozia e le pubblico attribuendole ad un antico bardo (poeta-guerriero),  Ossian, e fingendo di averle tradotte dal gaelico in prosa moderna.  In queste leggende che ebbero una rapida diffusione in Europa, il  MacPherson  trasfuse il gusto della patetico del tragico e dell'orrido.
Esse narrano storie d'amore e di morte che si svolgono sullo sfondo di una natura selvaggia sconvolta dalle tempeste, tra i ruderi di antiche città abbandonate.

In Germania le tendenze preromantiche si manifestano nelle opere di alcuni scrittori come Johann Gottfried Herder e  Johann Georg Hamann, fondatori della movimento dello “Sturm und Drang” (tempesta e assalto), sviluppatosi tra il 1770 e il 1790 e che prese il nome dal titolo di un dramma di Friedrich Klinger.  La rivalutazione del sentimento, l'esaltazione dell'istinto, la concezione dell'artista genio ribelle, la differenza tra poesia spontanea (naturpoesie) e poesia d'arte (kunstpoesie) furono gli elementi chiave che ispirarono l'opera degli sturmer, ai quali il Werther di Goethe  assicurò una straordinaria diffusione.

Il Neoclassicismo e la questione della lingua.

Tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento si diffondono in Europa un gusto e una sensibilità per il mondo classico che vengono designati con il termine di Neoclassicismo. Il fenomeno interessa inizialmente le arti figurative ed è incrementato in particolare dalle grandiose campagne di scavi archeologici avviate in Grecia e in Italia (in particolare Roma, Ercolano e Pompei) meta privilegiata, quest'ultima, del Gran Tour, il viaggio di formazione dei giovani artisti e letterati europei. I princìpi e i repertori tematici del neoclassicismo vanno ricercati soprattutto negli scritti teorici di Winckelmann, in particolare in “Storia dell'Arte dell'antichità”, in cui l'autore cerca di definire l’idea platonica della bellezza ideale: premesso che la bellezza è un valore assoluto, e in quanto tale non soggetto alla mutabilità della moda, e premesso che essa consiste nell'armonia e nell'equilibrio delle forme, l'artista non può riprodurla ma può soltanto sforzarsi di immaginare e rendere nella sua opera il prototipo di bellezza presente nella mente di Dio. Per Winckelmann soltanto l'arte greca, in particolare le sculture di Fidia, sarebbero riuscite a rappresentare il modello della bellezza ideale e nei grandi gruppi scultorei come nella statua singola si esprimerebbe nel modo più alto la sintesi tra passione interiore e compostezza esteriore, il vero equilibrio tra sentimento e oggettività.Tra gli italiani che condivisero il nuovo orientamento del gusto vanno ricordati lo scultore Antonio Canova, che fece rivivere nei suoi marmi la grazia e la bellezza delle opere greche, come nelle celebri statue di Venere e di Ebe, in Amore e Psiche, in Paolina Borghese, e lo storico dell'arte Francesco Milizia, il quale definisce il bello ideale come “la riunione delle parti più belle scelte dagli individui più belli”. L'arte antica era tuttavia avvertita anche come espressione della libertà e della dignità dell'uomo e divenne quindi anche un modello politico, la Roma repubblicana per i rivoluzionari, quella imperiale per l'età napoleonica. Lo stesso Napoleone fu dipinto nelle vesti di Giove Olimpico o di Cesare, o presentato come un eroe dell'antica e mitica  Ellade; gli vennero innalzati archi di trionfo ed egli  stesso rievocò  il tempo antico assumendo il titolo di console, attribuendo al figlio il titolo di re di Roma e inserendo sui vessilli delle legioni i simboli dell' aquila imperiale. Il Neoclassicismo si diffuse anche in letteratura con un'ampia prolificazione di miti o di storie di ambiente classicheggiante in uno stile che, in ossequio al principio di imitazione, tentò  di riprodurre i caratteri distintivi di quello greco o latino: simmetria, raffinatezza, accurata selezione lessicale, musicalità e armonia. Nella produzione poetica neoclassica dobbiamo distinguere un Neoclassicismo di tipo montiano, pomposo e celebrativo, e un neoclassicismo di tipo foscoliano, già pervaso di spiritualità romantica. Tutti e due per quanto riguarda il contenuto risentono dell'esigenza di una poesia ispirata all’ attualità e alla realtà sociale, tutti e due, per quanto riguarda la forma, per effetto della risorta ammirazione per la cultura classica riconoscono la necessità di esprimere questo contenuto moderno e attuale in forme limpide, armoniose, perfette, classiche. Questa doppia esigenza di modernità e attualità di contenuto e di antichità di forme fu sinteticamente espressa dal poeta francese Andrea  Chénier: “Sur des pensées nouveaux faisons des vers antiques”.  Lo stesso concetto espresse il Pindemonte:  “Antica l'arte onde vibri il tuo stral, ma non antico sia l’oggetto in cui miri”. Tuttavia questa poetica comune ai due classicismi ebbe risultati diversi:  i neoclassici di tipo montiano sono poeti per lo più superficiali, il loro classicismo ha carattere formale, esteriore, retorico e spesso celebrativo in senso cortigiano e adulatorio; l'altro neoclassicismo, quello foscoliano, è più profondo e risente della incipiente spiritualità del romanticismo. Il Neoclassicismo di questi poeti differisce naturalmente dal classicismo rinascimentale: (1) anzitutto il classicismo rinascimentale è più orientato verso la latinità che verso la grecità, (2) inoltre il classicismo rinascimentale nasce dalla lettura dei classici mentre il neoclassicismo nasce dallo studio delle arti figurative, (3) infine c'è una differenza più profonda di natura spirituale. Gli uomini del Rinascimento videro realizzati nell'antichità classica quegli ideali di serenità, equilibrio, libertà intellettuale, che essi, per reazione al dogmatismo e alla rozzezza medievale, credevano ottimisticamente di poter instaurare in se stessi; i neoclassici invece riscoprono nell'antichità classica gli stessi ideali di serenità, equilibrio e libertà, ma, agitati da ansie e inquietudini romantiche, ritengono che quegli  ideali siano ormai irrimediabilmente perduti per l'umanità. Essi sono quindi sostanzialmente dei nostalgici del passato. E  nel passato classico, considerato un'oasi felice di pace, essi amano idealmente rifugiarsi per evadere dalla realtà tormentosa del presente e per attingere la forza per placare e disciplinare i sentimenti e le passioni.

Le Grazie  (Antonio Canova)

Napoleone a cavallo (J. L. David)
Napoleone console (A. Appiani)



La questione della lingua, che viene riproposta nell'età napoleonica, è anch'essa un segno del risveglio della coscienza nazionale. Essa riguarda la lingua scritta e mira a indicare agli scrittori quale lingua devono usare nel comporre le loro opere. La ragione per cui verso la fine del Settecento viene ripresa la questione della lingua è di carattere storico; infatti nella seconda metà del Settecento c'era stata una certa libertà linguistica promossa dall' Accademia dei Pugni di ispirazione illuministica, che aveva imbarbarito la lingua italiana inquinandola soprattutto di francesismi. Nell'età napoleonica o del neoclassicismo si vuole reagire a questo tipo di prosa imbarbarita, sciatta e trasandata, si vuole far rientrare la lingua nel solco della tradizione italiana non solo per una questione di gusto promosso dal Neoclassicismo ma anche per ragioni politiche e patriottiche dovute al risveglio della coscienza nazionale nell'età napoleonica. Allo scopo di purificare la lingua dai barbarismi in questa età sorge il purismo che presenta due aspetti che, anche se in contrasto tra loro, hanno l'intenzione comune di rendere perfetta la lingua italiana. C'è infatti un purismo ristretto, promosso dall’abate Antonio Cesari e seguito da tanti convinti ammiratori tra cui il napoletano Basilio Puoti: questi puristi proponevano un ritorno alla lingua degli scrittori del ‘300 (Petrarca per la poesia Boccaccio per la prosa) perché aveva particolari caratteristiche di freschezza e naturalezza espressiva. C'è poi un purismo allargato e più moderno  rappresentato, tra gli altri, da Vincenzo Monti e dal suo genero Giulio Perticari: costoro respingono il primato letterario della Firenze del ‘300 e la dittatura del Vocabolario della Crusca e accettano come valida e pura la lingua italiana di tutti i secoli della letteratura italiana dal Trecento al Settecento così come si era rinnovata e arricchita per merito di tutti gli scrittori della penisola.