Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

venerdì 29 gennaio 2016

Il Neoclassicismo e la questione della lingua.

Tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento si diffondono in Europa un gusto e una sensibilità per il mondo classico che vengono designati con il termine di Neoclassicismo. Il fenomeno interessa inizialmente le arti figurative ed è incrementato in particolare dalle grandiose campagne di scavi archeologici avviate in Grecia e in Italia (in particolare Roma, Ercolano e Pompei) meta privilegiata, quest'ultima, del Gran Tour, il viaggio di formazione dei giovani artisti e letterati europei. I princìpi e i repertori tematici del neoclassicismo vanno ricercati soprattutto negli scritti teorici di Winckelmann, in particolare in “Storia dell'Arte dell'antichità”, in cui l'autore cerca di definire l’idea platonica della bellezza ideale: premesso che la bellezza è un valore assoluto, e in quanto tale non soggetto alla mutabilità della moda, e premesso che essa consiste nell'armonia e nell'equilibrio delle forme, l'artista non può riprodurla ma può soltanto sforzarsi di immaginare e rendere nella sua opera il prototipo di bellezza presente nella mente di Dio. Per Winckelmann soltanto l'arte greca, in particolare le sculture di Fidia, sarebbero riuscite a rappresentare il modello della bellezza ideale e nei grandi gruppi scultorei come nella statua singola si esprimerebbe nel modo più alto la sintesi tra passione interiore e compostezza esteriore, il vero equilibrio tra sentimento e oggettività.Tra gli italiani che condivisero il nuovo orientamento del gusto vanno ricordati lo scultore Antonio Canova, che fece rivivere nei suoi marmi la grazia e la bellezza delle opere greche, come nelle celebri statue di Venere e di Ebe, in Amore e Psiche, in Paolina Borghese, e lo storico dell'arte Francesco Milizia, il quale definisce il bello ideale come “la riunione delle parti più belle scelte dagli individui più belli”. L'arte antica era tuttavia avvertita anche come espressione della libertà e della dignità dell'uomo e divenne quindi anche un modello politico, la Roma repubblicana per i rivoluzionari, quella imperiale per l'età napoleonica. Lo stesso Napoleone fu dipinto nelle vesti di Giove Olimpico o di Cesare, o presentato come un eroe dell'antica e mitica  Ellade; gli vennero innalzati archi di trionfo ed egli  stesso rievocò  il tempo antico assumendo il titolo di console, attribuendo al figlio il titolo di re di Roma e inserendo sui vessilli delle legioni i simboli dell' aquila imperiale. Il Neoclassicismo si diffuse anche in letteratura con un'ampia prolificazione di miti o di storie di ambiente classicheggiante in uno stile che, in ossequio al principio di imitazione, tentò  di riprodurre i caratteri distintivi di quello greco o latino: simmetria, raffinatezza, accurata selezione lessicale, musicalità e armonia. Nella produzione poetica neoclassica dobbiamo distinguere un Neoclassicismo di tipo montiano, pomposo e celebrativo, e un neoclassicismo di tipo foscoliano, già pervaso di spiritualità romantica. Tutti e due per quanto riguarda il contenuto risentono dell'esigenza di una poesia ispirata all’ attualità e alla realtà sociale, tutti e due, per quanto riguarda la forma, per effetto della risorta ammirazione per la cultura classica riconoscono la necessità di esprimere questo contenuto moderno e attuale in forme limpide, armoniose, perfette, classiche. Questa doppia esigenza di modernità e attualità di contenuto e di antichità di forme fu sinteticamente espressa dal poeta francese Andrea  Chénier: “Sur des pensées nouveaux faisons des vers antiques”.  Lo stesso concetto espresse il Pindemonte:  “Antica l'arte onde vibri il tuo stral, ma non antico sia l’oggetto in cui miri”. Tuttavia questa poetica comune ai due classicismi ebbe risultati diversi:  i neoclassici di tipo montiano sono poeti per lo più superficiali, il loro classicismo ha carattere formale, esteriore, retorico e spesso celebrativo in senso cortigiano e adulatorio; l'altro neoclassicismo, quello foscoliano, è più profondo e risente della incipiente spiritualità del romanticismo. Il Neoclassicismo di questi poeti differisce naturalmente dal classicismo rinascimentale: (1) anzitutto il classicismo rinascimentale è più orientato verso la latinità che verso la grecità, (2) inoltre il classicismo rinascimentale nasce dalla lettura dei classici mentre il neoclassicismo nasce dallo studio delle arti figurative, (3) infine c'è una differenza più profonda di natura spirituale. Gli uomini del Rinascimento videro realizzati nell'antichità classica quegli ideali di serenità, equilibrio, libertà intellettuale, che essi, per reazione al dogmatismo e alla rozzezza medievale, credevano ottimisticamente di poter instaurare in se stessi; i neoclassici invece riscoprono nell'antichità classica gli stessi ideali di serenità, equilibrio e libertà, ma, agitati da ansie e inquietudini romantiche, ritengono che quegli  ideali siano ormai irrimediabilmente perduti per l'umanità. Essi sono quindi sostanzialmente dei nostalgici del passato. E  nel passato classico, considerato un'oasi felice di pace, essi amano idealmente rifugiarsi per evadere dalla realtà tormentosa del presente e per attingere la forza per placare e disciplinare i sentimenti e le passioni.

Le Grazie  (Antonio Canova)

Napoleone a cavallo (J. L. David)
Napoleone console (A. Appiani)



La questione della lingua, che viene riproposta nell'età napoleonica, è anch'essa un segno del risveglio della coscienza nazionale. Essa riguarda la lingua scritta e mira a indicare agli scrittori quale lingua devono usare nel comporre le loro opere. La ragione per cui verso la fine del Settecento viene ripresa la questione della lingua è di carattere storico; infatti nella seconda metà del Settecento c'era stata una certa libertà linguistica promossa dall' Accademia dei Pugni di ispirazione illuministica, che aveva imbarbarito la lingua italiana inquinandola soprattutto di francesismi. Nell'età napoleonica o del neoclassicismo si vuole reagire a questo tipo di prosa imbarbarita, sciatta e trasandata, si vuole far rientrare la lingua nel solco della tradizione italiana non solo per una questione di gusto promosso dal Neoclassicismo ma anche per ragioni politiche e patriottiche dovute al risveglio della coscienza nazionale nell'età napoleonica. Allo scopo di purificare la lingua dai barbarismi in questa età sorge il purismo che presenta due aspetti che, anche se in contrasto tra loro, hanno l'intenzione comune di rendere perfetta la lingua italiana. C'è infatti un purismo ristretto, promosso dall’abate Antonio Cesari e seguito da tanti convinti ammiratori tra cui il napoletano Basilio Puoti: questi puristi proponevano un ritorno alla lingua degli scrittori del ‘300 (Petrarca per la poesia Boccaccio per la prosa) perché aveva particolari caratteristiche di freschezza e naturalezza espressiva. C'è poi un purismo allargato e più moderno  rappresentato, tra gli altri, da Vincenzo Monti e dal suo genero Giulio Perticari: costoro respingono il primato letterario della Firenze del ‘300 e la dittatura del Vocabolario della Crusca e accettano come valida e pura la lingua italiana di tutti i secoli della letteratura italiana dal Trecento al Settecento così come si era rinnovata e arricchita per merito di tutti gli scrittori della penisola.

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