Friedrich Overbeck (1789-1869), ITALIA E GERMANIA (1811-1828), Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco
L’opera dello storico italiano Federico Chabod intitolata L’idea di nazione è ormai un classico della letteratura sul tema. Chabod ripercorre lo sviluppo e il significato dell’idea di nazione, cioè del significato della nazione intesa come valore innanzitutto culturale: un’idea forte, capace di tradursi in comportamenti individuali e collettivi che dominano un’epoca. Abbiamo selezionato un passo dal suo saggio in cui Chabod sostiene quattro tesi:
– innanzitutto sottolinea che tutto il XIX secolo è caratterizzato da una partecipazione popolare all’azione politica fortemente intrisa di passionalità, e ricorda il precedente storico delle guerre di religione per ritrovare un esempio di simile partecipazione appassionata; il riferimento è rafforzato dal fatto che la nazione è spesso sentita nell’Ottocento in termini vicini ad una “religione”;
– osserva poi che la nazione, da valore culturale (è innanzitutto un’idea) tende a imporsi come principio organizzatore della identità dello Stato, ed a divenire quindi nazione territoriale; per questa ragione l’idea di nazione si sviluppa soprattutto nei territori in cui non vi è corrispondenza tra Stato e nazione;
– la terza tesi riguarda l’approccio alla storia: l’idea di nazione è tutta costruita mediante una ripresa delle tradizioni e dei valori del passato, ma in un’ottica che l’esatto contrario dell’idea di Restaurazione, che pure è costruita guardando al passato; è un passato lontano, collettivo, che riguarda tutti, e su cui si intende costruire il futuro;
– la quarta tesi è una delle più note tra quelle sostenute da Chabod (la troveremo citata più volte anche nei testi qui in lettura): Chabod sottolinea che l’idea di nazione non è uguale ovunque, ma si presenta in diverse varianti, tra cui le più importanti sono due, presenti soprattutto in Italia e in Germania: la prima vede la nazione come valore eminentemente culturale, e quindi volontaristico, la seconda come un valore che si basa su fatti oggettivi, su dati di tipo naturalistico.
Le passioni nazionali, come secoli prima le passioni religiose:
“Il secolo XIX conosce, insomma, quel che il Settecento ignorava: le passioni nazionali. E la politica che nel ‘700 era apparsa come un’arte, tutta calcolo, ponderazione, equilibrio, sapienza, tutta razionalità e niente passione, diviene con l’Ottocento assai più tumultuosa, torbida, passionale; acquista l’impeto, starei per dire il fuoco delle grandi passioni; diviene passione trascinante e fanatizzante com’erano state, un tempo, le passioni religiose, ancora un tre secoli innanzi, all’epoca delle cruente, implacabili contese fra Ugonotti e Leghisti, fra luterani e cattolici, al tempo della notte di San Bartolomeo.
La politica acquista pathos religioso; e sempre di più, con il procedere del secolo e con l’inizio del secolo XX: ciò spiega il furore delle grandi conflagrazioni moderne. Ora, da che deriva questo pathos se non proprio dal fatto che le nazioni si trasferiscono, potremmo dire, dal piano puramente culturale, alla Herder, sul piano politico? Come abbiamo già più volte detto, la nazione cessa di essere unicamente sentimento per divenire volontà; cessa di rimanere proiettata nel passato, alle nostre spalle, per proiettarsi dinanzi a noi, nell’avvenire; cessa di essere puro ricordo storico per trasformarsi in norma di vita per il futuro. Così, parimenti, la libertà, da mito del tempo antico, diviene luce che rischiara l’avvenire; luce a cui occorre pervenire, uscendo dalle tenebre.
La nazione diventa patria: e la patria diviene la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità: e come tale sacra”.
Trasformare la nazione culturale in nazione territoriale:
“Com’è ovvio, l’idea di nazione sarà particolarmente cara ai popoli non ancora politicamente uniti; il «principio di nazionalità», che ne è precisamente l’applicazione in campo politico, troverà il massimo favore presso coloro che solo in base ad esso possono sperare di comporre in unità le sin qui sparse membra della patria comune. Quindi, sarà soprattutto in Italia e in Germania che l’idea nazionale troverà assertori entusiasti e continui; e, dietro a loro, negli altri popoli divisi e dispersi, in primis i polacchi. (…)
Italia e Germania, dunque, terre classiche, nella prima metà del secolo scorso, dell’idea di nazionalità. E nell’una come nell’altra nazione, identici pure risuonavano gli appelli al proprio passato, alla storia, come quella che, dimostrando la presenza secolare e gloriosa di una nazione italiana (o tedesca) in ogni campo, essenzialmente in quello della cultura, arte e pensiero, legittimava le aspirazioni a che questa presenza si concretasse anche nel campo politico; a che cioè la nazione, da fatto puramente linguistico-culturale, si tramutasse in fatto politico, divenendo «Stato». Trasformare la nazione culturale in nazione territoriale: ma proprio i titoli culturali servono da documenti giustificativi per il sorgere, anche, della seconda”.
Tornare alla storia passata per costruire il futuro:
“Di qui l’appello alla storia passata, che continua, dunque, l’atteggiamento degli scrittori del ‘700, ma con un finalismo politico che a quelli mancava. Lo ritroviamo, quest’appello, in scrittori italiani e germanici: il Novalis esorta i suoi lettori “alla storia”, a scrutare «nel suo istruttivo complesso le epoche che s’assomigliano», ad imparare ad usare «la bacchetta magica dell’analogia». Esattamente dieci anni più tardi, nella celebre Orazione inaugurale al corso di eloquenza presso l’Università di Pavia, Ugo Foscolo incalza “O Italiani, io vi esorto alle storie”: perché nella storia passata della nazione italiana ci sono i titoli della sua gloria, che sono anche il pegno per il suo avvenire. Ma già prima, nei Sepolcri, il poeta aveva tradotto il medesimo pensiero in immagine, l’immagine di Santa Croce, tempio delle itale glorie, dove si dovrà andare per trar gli auspici:
ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
… Santa Croce, con i sepolcri dei grandi italiani, Machiavelli, Michelangelo, Galilei, è come il luogo sacro alla coscienza nazionale (e si pensi, infatti, quale importanza ideale ebbe Firenze, per gli italiani colti e patrioti, nel Risorgimento: almeno fino al neoguelfismo e al deciso imporsi dell’idea di Roma)”.
Due modi di considerare la nazione: naturalistico (Germania) e volontaristico (Italia):
“Sennonché, se queste sono caratteristiche comuni ai due movimenti, l’italiano e il tedesco, occorre però avvertire che per altri riguardi i due movimenti sono, invece, sostanzialmente, profondamente diversi. Tanto diversi, e su problemi così sostanziali, che il giudizio complessivo dello storico non può non essere questo: che tra il movimento nazionale germanico e quello italiano, nonostante talune affinità e somiglianze, c’è, sostanzialmente, una assoluta diversità, quando non addirittura opposizione.
Abbiamo detto, altre volte, che due sono i modi di considerare la nazione: quello naturalistico, che fatalmente sbocca nel razzismo, e quello volontaristico. S’intende bene che non sempre l’opposizione è così totale e recisa: anche una dottrina a base naturalistica può apprezzare in certa misura i fattori volontaristici (educazione, ecc.), così come anche una dottrina a base volontaristica non è detto che debba rinnegare ogni e qualsiasi influsso dei fattori naturali (ambiente geografico, razza, ecc.). Ma insomma, è dall’accentuare più o meno fortemente l’uno o l’altro elemento che una dottrina riceve il suo particolare rilievo. Orbene, sin dall’inizio in terra di Germania la valutazione etnica (cioè naturalistica) si fa avvertire”.
F. Chabod, L’idea di nazione, Laterza, Bari 1967
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