Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

martedì 27 maggio 2014

Eugenio Montale, L'alluvione ha sommerso il pack dei mobili



L’ alluvione ha sommerso il pack dei mobili,
delle carte, dei quadri che stipavano
un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto.
Forse hanno ciecamente lottato i marocchini
rossi, le sterminate dediche di Du Bos, 
il timbro a ceralacca con la barba di Ezra,
il Valéry di Alain, l’originale
dei Canti Orfici – e poi qualche pennello
da barba, mille cianfrusaglie e tutte
le musiche di tuo fratello Silvio. 
Dieci, dodici giorni sotto un’atroce morsura
di nafta e sterco. Certo hanno sofferto
tanto prima di perdere la loro identità.
Anch’io sono incrostato fino al collo se il mio
stato civile fu dubbio fin dall’inizio. 
Non torba m’ha assediato, ma gli eventi
di una realtà incredibile e mai creduta.
Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo
dei tuoi prestiti e forse non l’hai mai saputo
.


Questa poesia, scritta il 27 novembre 1966, è l'ultima degli Xenia, una sezione della raccolta Satura che Montale dedicò a Drusilla Tanzi, la moglie morta anni prima. Il 4 novembre del 1966 una alluvione del fiume Arno devastò la città di Firenze e l'acqua sommerse la cantina in cui Montale aveva stipato gli oggetti legati al periodo fiorentino:simili a un'enorme lastra di ghiaccio della banchisa polare (pack dei mobili), vengono sommersi e distrutti. 
Come gli oggetti della sua cantina lottano ciecamente e soffrono tanto prima di arrendersi all'acqua putrida e al fango (atroce morsura / di nafta e sterco), così il poeta è assediato e aggredito da una società e da una cultura a lui sempre più ostili ed estranee (una realtà incredibile e mai creduta). 
L'alluvione diventa così l'allegoria della fine di un'epoca, del tramonto dei valori umanistici di un tempo e della crisi di identità del poeta. 
Solo il coraggio della moglie (il primo / dei tuoi prestiti) gli dà, come sempre, la forza di sopravvivere. Ma forse lei se n'è andata senza riuscire a capire quanto sia stata importante.

Non torba m’ha assediato, ma gli eventi
Di una realtà incredibile e mai creduta.
Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo
Dei tuoi prestiti e forse non l’hai saputo
.”


Il coraggio trasmesso dalla moglie al poeta è l’unico valore possibile, l’unica certezza, l’unico appiglio che gli consente di non lasciarsi schiacciare dall’assoluta insignificanza della vita. E’ luce, è – ci piace pensare - salvezza.

Credo francamente che un poeta come Montale non possa essere considerato, come si suol dire, "à la page": persino la sua battuta alla notizia del conferimento del Nobel ( Dovrei dire cose solenni, immagino. Mi viene invece un dubbio: nella vita trionfano gli imbecilli. Lo sono anch'io?) lo testimonia; l'orrore per l'arte ridotta alla fruizione dell'"usa e getta", al solo attimo della fruizione visiva e sonora, il fastidio per l'intasamento snervante ed inutile della civiltà consumistica ne fanno un intellettuale vagamente spaesato rispetto ai nostri tempi:

"Anch'io sono incrostato fino al collo se il mio
stato civile fu dubbio fin dall'inizio.
Non torba m'ha assediato, ma gli eventi
di una realtà incredibile e mai creduta"

Come dire: l'alluvione-metafora della cultura di massa dominante a partire dagli anni Cinquanta minaccia di travolgere la cultura raffinata e non provinciale (di cui i libri citati nel testo - Dino Campana, Valéry, Ezra Pound - sono parte integrante); e nella "perdita d'identità" di quella cultura Montale, che ha contribuito a diffonderla, vede drammaticamente simboleggiata la perdita anche della propria identità.

Nella sua tentata resistenza il poeta potrebbe da un lato apparirci più propenso all'idea classica della cultura come ricreazione spirituale e civile dell'uomo piuttosto che a quella dell'industria del tempo libero.

Ecco il commento di Romano Luperini:
«Questa poesia è datata 27 novembre 1966 ed è la quattordicesima degli Xenia II. È un esempio notevole della scrittura montaliana dopo la crisi e il silenzio tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta: domina un tono colloquiale e dimesso, al confine con la prosa. La fine di qualsiasi illusione sul valore della propria civiltà e della storia comporta una rivisitazione dolente o ironica dei propri miti passati, che Montale stesso demistifica e rinnega: non però per sostituirvi nuovi valori, ma per prendere atto della mancanza di valori e di significati, sotto la spinta di un nichilismo senza eccessi, piuttosto cinico e disincantato che corrosivo. Il coraggio trasmesso dalla moglie al poeta è l’unico valore possibile – inteso come coraggio di constatare l’insignificanza della vita e cioè come la mancanza assoluta dei valori.
L’occasione contingente all’origine di questo testo è l’alluvione che colpì Firenze, con lo straripamento dell’Arno, nel novembre del 1966. La distruzione operata dalle acque fangose sugli oggetti conservati dal poeta nella cantina diviene l’allegoria della fine dei suoi miti personali e della crisi ormai irrecuperabile della sua identità. Il riferimento è in particolare alla ideologia degli anni trenta cioè alla convinzione – tipica degli intellettuali non fascisti durante il regime – di poter raffermare la propria identità e difendere il significato della cultura attraverso l’isolamento e la conservazione dei valori della civiltà e della poesia: la cantina rappresenta qui la cittadella delle lettere, con i suoi fragili miti.»..

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