Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

domenica 8 marzo 2015

Like/Dislike

Non è tanto per il freddo, non è tanto per la mancanza di luce che non mi piace l'inverno. È che si fa una immensa fatica a vedere qualcosa di bello, o anche soltanto qualcosa che non sia proprio brutto.
D'estate le chiome rinfoltite degli alberi nascondono quei capannoni là in fondo, i rampicanti colorano le facciate di intonaco plastico, un fiore selvatico riesce a spuntare anche nell'angolo tra un marciapiede e una cacca di cane. 
Invece d'inverno di bello c'è solo, qualche volta, il cielo. Se vuoi guardare qualcosa di bello devi prendere un libro, andarlo a cercare.

Io sono un po' scoraggiata per quanto trascuriamo la bellezza, come se fosse un lusso, una mollezza, come se fosse qualcosa di cui si può - senza conseguenze - fare anche a meno.
E sono scoraggiata perché a me pare che sia la prima volta nella storia del genere umano che la bellezza viene del tutto trascurata.

Mi capita spesso di pensare che ci sono persone, e sono tantissime, che ogni giorno si svegliano in una brutta stanza piena di mobili stupidamente brutti, in una brutta casa che sta in una brutta strada. Escono, vanno al lavoro in un posto bruttino o non di rado orrendo, lavorano al fianco di gente con brutte facce tristi, emaciate, incazzate, frustrate. Poi tornano a casa e passano  tutta la sera guardando qualcosa di brutto in tv, o vanno in un brutto bar a bere qualcosa da un brutto bicchiere scambiando brutte battute con gente aggressiva chiusa  in dozzinali giubbetti.
Non per tutti è così, ma per molti, moltissimi, una moltitudine. Vivono anni e vite intere senza vedere mai da vicino niente di bello.

Eppure una volta c'era la natura. Chi non poteva permettersi una stanza affrescata da Raffaello, o di ammirarla una volta che fosse affrescata, chi non poteva nemmeno meravigliarsi per  una vetrata o un arco rampante in una cattedrale, chi era troppo povero per permettersi un oggetto qualunque che fosse davvero bello poteva sempre guardare un tramonto sul mare, un'alba tra i boschi, un albero di ciliegio fiorito. 

Sto dicendo che per migliaia di anni qualcosa di bello da guardare tutti, ma proprio tutti l'abbiamo avuto. Ma la bruttezza totale che ci circonda adesso, quella scorza in cui ci siamo avviluppati fatta di migliaia e milioni di oggetti brutti, cose brutte, edifici brutti, tutta questa mancanza di bellezza non può non farci male.

Da qui nasce la proposta di fare un gioco. Consiste nel giudicare le cose che vediamo. Diciamo a noi stessi - o anche a voce alta, se ci fa più piacere - "Questo è bello. Questo è brutto. Questo è molto brutto". Sembra una cavolata, lo so, ma da quanto non lo facciamo? Da quando guardiamo la stessa casa lì ogni mattina e non diciamo, esplicitamente, deliberatamente: "Che brutta."?
Non bisogna trattenersi, non occorre essere corretti, tolleranti, possibilisti. Bisogna essere decisi,  tagliare con la scure: senza vie di mezzo, senza pietà. L'incrocio con quel semaforo e l'officina dell'elettrauto? Brutto. La faccia di quel signore  scuro scuro peloso al banco del bar? Brutta. L'auto che ti ha appena sorpassato? Brutta. Le tendine di quella casa? Brutte. La tazzina del caffè? Molto brutta.
Si può fare. Abbiamo il diritto di giudicare la bellezza del mondo, e forse anche un po' il dovere.

Il fatto è che adesso ci hanno inculcato questa faccenda del "mi piace" e tendiamo a pensare che via, è tutta questione di gusti. Che se una cosa a noi non piace magari a un altro può piacere. Che non si può mai dire. Che ognuno la pensa a modo suo. Che la bellezza è negli occhi di chi guarda. Che non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace. 
Però non è vero. 

Non è bello ciò che piace: è bello ciò che è bello. 

E lo sappiamo benissimo, a pensarci bene. E se ci sembra di non essere sicuri di saperlo giudicare non importa, facciamolo lo stesso. A volte tentano di spaventarci facendoci  credere che solo qualcuno che ha studiato delle cose, che ha dei titoli, delle certificazioni, abbia la possibilità di capire e il diritto di dire se una cosa è brutta. Non è vero. Ognuno sa benissimo cosa è bello e cosa non lo è. E può dirlo finché vuole.
Esercitiamoci, un po' ogni giorno: è importante. Perché di tutta questa bruttezza almeno che ci si accorga e la si chiami col suo nome. Allora si proverà una immensa soddisfazione.








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