Costituiscono una sorta di cerniera tra i piccoli idilli e i grandi Canti pisano-recanatesi.
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L’opera segna il passaggio dal concetto di Natura-madre a quella di Natura-matrigna e costituisce una tappa fondamentale del tragitto di maturazione che porta Leopardi al cosiddetto pessimismo cosmico.
Le Operette sono osteggiate dalla censura e incontrano resistenza anche presso gli intellettuali e il pubblico, sia per l’incompatibilità della filosofia leopardiana con le posizioni risorgimentali progressiste e cattolico-liberali, sia perché esse danno vita a un genere nuovo, originale quanto difficile.
La prosa scientifica e filosofica non ha una consolidata tradizione in Italia, se si eccettuano gli scritti degli scienziati del Seicento, come Galilei. Per attuare il suo progetto Leopardi deve creare una lingua in cui l’efficacia dimostrativa sia unita alla fluidità e all’armonia, il rigore argomentativo non rinunci al fascino dell’immaginazione. Leopardi rifiuta sia la soluzione purista, sia lo stile aulico-accademico; inoltre è fortemente critico nei confronti della lingua francese che, condizionata dallo stile della clartè (chiarezza) cartesiana, non lascia spazio all’immaginazione e all’emozione. Crea allora uno stile mescolato, una sorta di prosa poetica di assoluta originalità.
Le Operette morali, al di là di tutti gli elementi di varietà contenutistica e formale, rivendicano una propria coerente trama di pensiero, fondata su quella che Leopardi stesso definisce la dimensione metafisica dell’opera: ovvero sul suo progetto di investigazione delle radici profonde e universali del disagio dell’uomo.
Nella forma definitiva, le 24 operette si possono considerare divise in due parti, ambedue introdotte da un’operetta con funzione proemiale: la Storia del genere umano per la prima parte e il Parini o della gloria per la seconda.
Le due parti constano ciascuna di 12 operette. Se si considera che la prima operetta prende spunto dalla creazione del genere umano e che l’ultima, il Tristano, è dedicata all’età presente, il libro risulta iniziare dalla preistoria del mondo e concludersi con l’attualità, configurandosi perciò come una riflessione complessiva sulla storia dell’uomo dalle sue lontane origini alla contemporaneità.
I principali fili tematici delle Operette si possono così riassumere:
OPERETTA PROEMIO: Storia del genere umano. Illustra le origini dell’uomo e l’evoluzione storica dell’umanità, che sono simili al decorso della vita umana (secondo la teoria di G. B. Vico): alla fanciullezza, epoca delle illusioni e della speranza, seguono l’età adulta e virile, caratterizzata dalla fine delle speranze e dal tedio, e la vecchiaia, età del declino senile, in cui la noia si trasforma in odio della vita e può condurre l’uomo al suicidio. La storia dell’umanità, dunque, è la storia stessa dell’infelicità umana ovvero la ricerca continua quanto vana di felicità.
FELICITA’ E INFELICITA’: autentico tema-perno delle Operette.
Nel Dialogo di Malambruno e Farfarello si affronta il concetto dell’infelicità “necessaria”, cioè connaturata agli esseri umani, sulla base di considerazioni che riprendono la “teoria del piacere”. Fra la smisurata richiesta di felicità da parte dell’uomo e l’inconsistenza del bene realmente conseguibile c’è una sproporzione incolmabile, che induce un senso di frustrazione e di nullità.
Nel Dialogo della Natura e di un’anima l’infelicità è posta in relazione alla grandezza d’animo. Quanto più un animo è grande, tanto più è infelice.
Nel Dialogo della terra e della luna, il tema dell’infelicità si allarga su un piano universale. Sofferenza e mali sono di proporzioni cosmiche ed esistono anche sulla luna. Neppure nell’infelicità, dunque, l’uomo ha una posizione di rilievo nell’universo. Quali che siano le forme di vita, la sostanza dell’esistenza è per ogni creatura l’infelicità.
Il Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare e il Dialogo della Natura e di un islandese affrontano il problema del nesso esistenza-felicità rispettivamente dal punto di vista dell’uomo di genio e dell’uomo comune. In particolare il secondo rappresenta la svolta decisiva verso quello che è stato definito il “pessimismo cosmico” di Leopardi e verso l’idea che lo sostiene della natura “nemica” e “matrigna” alle cui leggi inesorabili è impossibile sfuggire.
Nel Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez l’impresa di Colombo è rivisitata in quanto modello di viaggio e ricerca dell’ignoto come mezzi per affrancarsi dalla noia. Il viaggio e la ricerca, per quanto angoscianti e pieni di rischi, sono comunque fatti di attesa e, perciò, sono lo spazio della speranza e della gioventù. Il dialogo anticipa, dunque, per un verso, il tema del “piacer figlio d’affanno” de “La quiete dopo la tempesta” e, per l’altro, il tema dell’attesa de “Il sabato del villaggio”.
Nell’Elogio degli uccelli è fatto un elogio della spontaneità, dell’immaginazione, della fanciullezza, e, dunque, in sintesi, della poesia come forma di liberazione dalla noia esistenziale. Gli uccelli sommano l’esperienza del viaggio a quella della solitudine e della frequentazione dei luoghi alti; essi sono, dunque, simili ai poeti e si differenziano dagli uomini comuni, il cui stato è dolore e noia, sia per il continuo movimento, che li rende non soggetti a noia, sia per avere l’udito e la vista assai sviluppati, il che consente loro una grande capacità immaginativa.
LA CRITICA ANTROPOCENTRICA: I Dialoghi 4, 5 e 9 sono incentrati sulla critica dell’antropocentrismo da tre diverse angolature: storico-sociale, filosofico e mitologico. Nelle Proposte di premi fatte dall’Accademia dei Sillografi una congrega di fanatici assertori del progresso, ironica invenzione di Leopardi, decide di istituire tre premi per gli inventori di macchine artificiali a vapore capaci di riprodurre l’amico fedele, l’uomo virtuoso e la donna ideale. Il folle progetto di ridurre a macchine le virtù e la figura umana ideali significa, ovviamente, la completa sfiducia nell’uomo contemporaneo e la denuncia della sua arrogante pretesa di centralità e dominio sul mondo.
Nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo si immagina l’estinzione per autodistruzione del genere umano: evento che passa del tutto inosservato agli occhi del cosmo, per il quale la presenza degli uomini è assolutamente irrilevante. L’universo non vive in funzione dell’uomo, ma in obbedienza al meccanismo di produzione-distruzione e alla legge della casualità.
Ne La scommessa di Prometeo, Prometeo è irritato per non essere stato insignito della corona d’alloro per la sua invenzione: l’uomo. Gli dei scendono allora sulla terra per verificare la fondatezza delle pretese di Prometeo, ma riscontrano comportamenti umani tutt’altro che esemplari: la pratica dell’antropofagia nel nuovo mondo (Americhe), riti funebri assolutamente incivili nel mondo vecchio (Asia), il tedio della vita e il suicidio nel mondo civile (l’Occidente). L’operetta afferma la negatività in sé della natura umana, indipendentemente sia dal grado di civiltà, come vogliono i fautori del progresso, sia dalla vicinanza o meno allo stato di natura, come vuole Rousseau.
IL TEMA DELLA MORTE: La morte come destino ultimo del mondo compare ne Il cantico del gallo silvestre. Il “Cantico” è un testo orientale in caratteri ebraici che Leopardi finge di tradurre. Un gallo risveglia ogni mattina gli uomini dal sonno e li invita a intraprendere positivamente le attività quotidiane. Ma gli uomini sono presto rattristati dal senso di infelicità che contraddistingue la loro vita che, proprio come ogni singola giornata, inizia nella speranza e tramonta nel dolore e nella morte.
Nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sua mummie la morte è rappresentata come una liberazione dai mali e dagli affanni. Morire è come addormentarsi. Ruysch è un medico olandese del XVII secolo che ha scoperto un nuovo procedimento di mummificazione dei cadaveri. Leopardi immagina che le mummie conservate nel suo studio, a un certo momento, si risveglino, cantino un inno alla morte e conversino per quindici minuti con lui. Ruysch rivolge tre domande alle sue mummie: a) cosa si provi in punto di morte b) che tipo di dolore dà la morte c) che cos’è la morte. Le mummie rispondono che a) la morte è come un passaggio dalla veglia al sonno b) la morte non dà dolore in quanto assenza di sensazioni c) la morte, come il sonno, è apportatrice di ristoro. Il dialogo riflette un rovesciamento di tipo carnevalesco, dal momento che la riflessione sulla vita avviene dal punto di vista dei morti.
Nel Dialogo di Plotino e di Porfirio si tratta del suicidio. In linea teorica esso è una soluzione plausibile alla condizione di dolore e noia di cui è fatta l’esistenza; ma, sul piano morale, è una scelta da evitare in nome del vincolo di solidarietà, pietà e condivisione della sofferenza che deve legare tutti gli uomini (il tema sarà ripreso ne “La ginestra”). Inoltre il suicidio rappresenterebbe una indiretta ammissione del valore della vita che, invece, non è valore per cui valga la pena di morire.