Il video che segue è tratto dall'opera Sapho di Charles Gounod e si presta meravigliosamente a fare da colonna sonora alla lettura della canzone di Leopardi che segue, appunto l'Ultimo canto di Saffo.
A Mitilene fervono i preparativi per l’olimpiade: Phaon, che cospira con Phyhéas contro il tiranno Pittacus, è diviso tra l’amore per Glycère e quello per Sapho; l’una è la bellezza, l’altra il genio. Durante una gara poetica, Alcée infiamma il popolo cantando libertà e rivolta ma è Sapho a trionfare con un’appassionata ode amorosa, che le vale la vittoria e una pubblica dichiarazione d’amore di Phaon. Convinti da Alcée, Phaon e Pythéas firmano la congiura contro il tiranno. Glycère, tormentata dalla gelosia, riesce a sottrarre a Pythéas il documento che prova la colpevolezza dell’amato. Affronta quindi la poetessa, svelandole la trama eversiva : se vuole salvare Phaon dovrà tacere e lasciar credere la propria incostanza; quanto a Phaon, parta da Mitilene, solo, in esilio. Sapho, innamorata più che mai, accetta le condizioni della terribile rivale. Sopraggiunto Phaon, e Glycère lo informa del pericolo che pende sul suo capo. Phaon vuol fuggire e chiede a Sapho di partire con lui, ma costei, con uno sforzo supremo, lo sollecita a partire solo. Ella non l’ama più; compiangendo l’amore perduto, Phaon si appresta a salpare e maledice Sapho. La donna, dopo aver implorato la benedizione degli dèi per l’amato, si uccide gettandosi in mare.
Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de' Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
De' colorati augelli, e non de' faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De' celesti si posa. Oh cure, oh speme
De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator de' casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perìr gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva
E l'atra notte, e la silente riva.
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