Credo molto nelle potenzialità dei social network e vi sto di fatto spendendo le mie migliori energie. Sono convinta che una scuola 2.0 debba affiancare a un solido studio dei contenuti una diffusione degli stessi in un formato appetibile e soprattutto vicino alle modalità di comunicazione degli studenti, che di certo al giorno d'oggi non scrivono soltanto con carta e penna, ma ricorrono spesso alla leggerezza dei bits. Qualcosa che del resto già Calvino aveva preconizzato nelle sue Lezioni Americane.

Confrontarsi con il pubblico della comunità social, ben più vasto del microcosmo classe (e potenzialmente infinito), proponendo il proprio lavoro, significa per gli studenti sviluppare ottime doti di sintesi nell'esposizione dei contenuti e mantenere buon controllo ortografico. Non solo, essi devono imparare a scrivere in modo accattivante e spigliato, così da ottenere l'attenzione dei lettori, nonché variare il registro stilistico a seconda delle diverse situazioni comunicative.

martedì 1 ottobre 2013

L'ideale greco della Kalokagathìa

La Bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, 
le credenze si succedono l'una sull'altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso 
per tutta l'eternità. 
(Oscar Wilde)

Kalokagathìa è l'adattamento di un'espressione greca ed esprime come sostantivo astratto il concetto condensato nella coppia di aggettivi καλός καγαθός ("kalòs kagathòs" è la crasi di καλός καi αγαθός), che significa, letteralmente, bello e buono: quest'ultimo aggettivo deve essere anche inteso come sinonimo di "valoroso" in guerra. 
Nella cultura ellenica veniva pertanto così indicato l'ideale di perfezione umana: l'unità nella stessa persona di bellezza e valore morale, un principio che coinvolge dunque la sfera etica ed estetica ed estende la propria influenza anche sulla produzione artistica (come nel celebre Discobolo di Mirone).

Il discobolo, Mirone, 455 a.C. circa.

Oltre a questo la kalokagathìa in senso lato indica la reale fusione, per la cultura greca antica, di etica ed estetica; per cui ciò che è bello deve necessariamente essere buono e viceversa. Di conseguenza ciò che è interiormente cattivo sarà anche brutto fuori. 
Nel mito, Achille e Memnone incarnano totalmente il concetto greco; l'esatto contrario, invece, è rappresentato da Tersite (un soldato semplice che compare in un episodio dell'Iliade, quando esorta i commilitoni ad abbandonare la guerra di Troia, ma viene interrotto da Ulisse che, incitato dagli dei, convince i soldati a restare, in disaccordo con Tersite, che verrà brutalmente picchiato dall'eroe di Itaca per il tentativo di ammutinamento).

L’impressionante quantità di opere d’arte che ornavano gli spazi pubblici delle città dell’antica Grecia non è facile da concepire dal punto di vista moderno, in un' epoca in cui l’arte è relegata nei musei, nelle case di sporadici collezionisti o in quei rari luoghi pubblici ove capolavori antichi sono sopravvissuti all’azione del tempo.

Nell’antica Grecia non solo l’arte rappresentava una costante nella vita dei cittadini, ma era anche strettamente collegata alla religione, alla politica, all’etica e ad altri aspetti della vita quotidiana. Nell’antichità, le opere d’arte erano parte integrale della vita sociale, e seguivano lo sviluppo della mentalità della popolazione. Tenendo inoltre presente che gran parte dei prodotti artistici miravano alla concretizzazione dell’ideale di massima bellezza, attraverso lo studio delle opere d’arte possiamo farci un’idea piuttosto verosimile dei canoni di bellezza vigenti all’epoca. 

Fra tutte le arti, la scultura è quella che illustra in modo più chiaro il percorso di perfezionamento dell’arte greca e della ricerca sempre più approfondita di canoni di bellezza universali. A mio parere, in nessun’altra corrente dell’arte raffigurativa possiamo assistere ad un’evoluzione tanto spettacolare: partendo da figure appena abbozzate e dalle pose assolutamente innaturali (vedi kùros e kòre), si giunge a capolavori dalla fama mondiale (quali la Venere di Milo e la Nike di Samotracia), dove l’abilità degli scultori raggiunge un livello tale da permettere la creazione di opere assolutamente verosimili, nelle quali la pietra utilizzata sembra perdere la propria consistenza e freddezza per diventare calda e morbida carne viva, o impalpabile e vellutato tessuto, o ancora soffici e setosi capelli al vento. Questo incredibile sviluppo è stato reso possibile grazie ad un continuo ed approfondito studio dell’anatomia del corpo, tempio dell’anima, concretizzazione dei massimi valori fisici ed etici, un elemento fondamentale ed onnipresente della cultura ellenica. 

La Nike (in greco Νίκη - dea della vittoria) fu ritrovata a Samotracia, un'isola dell'Egeo, nel 1863 priva delle braccia e della testa (solo una mano venne ritrovata nel 1950).
L'opera venne scolpita a Rodi in epoca ellenistica e rappresentava forse un'offerta commemorativa per una vittoria navale 
L'opera è collocata in punto cruciale del museo del Louvre a Parigi; essa si erge maestosa in cima allo scalone progettato da Hector Lefuel, che collega la Galerie d'Apollon e il Salon Carré.

La bellezza di queste sculture è inoltre riconosciuta anche ai giorni nostri, dopo più di due millenni, a riprova di come gli antichi greci fossero infine effettivamente giunti ad elaborare i canoni di bellezza perfetti. È importante notificare che nell’arte greca, la scultura è profondamente legata alla vita di tutti i giorni, in particolare alla religione e alla politica. I soggetti raffigurati appartengono difatti spesso e volentieri alla mitologia greca, o sono persone reali viventi o defunte, o ancora benefattori dei vari templi; ma tutti, reali o meno, sono accomunati da un’idealizzazione che vuole essere la manifestazione tangibile delle loro qualità, in quanto per la cultura greca un bel corpo è simbolo di un’eccellente personalità. È dunque impossibile non notare che, nonostante rappresentino individui diversi (leggendari o reali), tutte le sculture sono accomunate dagli stessi canoni e dagli stessi tratti fisici, a testimonianza della tendenza greca all’astrazione e alla ricerca di un modello di bellezza ideale ed universale che superi le caratteristiche individuali per giungere ad un utopistico concetto di estetica.

Nell’età classica osserviamo una sempre maggiore ricerca di equilibrio e di armonia, che si riflette nello sviluppo di specifici canoni proporzionali. Il culmine di questo sviluppo si situa durante il governo ateniese di Pericle (Atene 495 ca. - 429 a.C.), durante il quale operarono i grandi scultori Policleto e Fidia. La bellezza in questo periodo è più che mai valutata sulla base delle proporzioni ideali, che accomunano i corpi di uomini e donne. Mentre tuttavia per i primi continua ad essere valevole il modello del giovane atleta, per le seconde possiamo finalmente identificare alcuni canoni di bellezza relativi non più solo al viso ma anche al corpo. Grazie alla continua evoluzione delle tecniche scultoree, infatti, i tessuti che rivestono i corpi femminili diventano sempre più sottili ed aderenti, permettendo così di ipotizzare con una certa sicurezza che il fisico femminile più apprezzato fosse quello dalle forme morbide e carnose, dalle cosce tornite e dal seno non troppo prosperoso, ma rotondo e sodo.

Policleto

In questa ricerca dei perfetti rapporti proporzionali, molto importante è la figura dello scultore Policleto di Argo (nato nel 480 a.C. ca. ed attivo fra il 450 e il 420 a.C.), che nella sua opera conosciuta come Canone espone il principio compositivo del chiasmo (o del bilanciamento a X) e individua il canone proporzionale perfetto del corpo umano. Secondo il criterio del chiasmo, gli arti del corpo devono essere inversamente correlati: se il braccio destro è a riposo, così deve essere anche la gamba sinistra e viceversa. Questo principio compositivo si allaccia al principio della ponderazione, secondo il quale le membra devono trovarsi in un naturale equilibrio dei pesi che renda armonico l’insieme del corpo. Per raggiungere l’equilibrio perfetto, inoltre, Policleto afferma che il canone di riferimento per la proporzione ottimale risiede nella testa, che dovrebbe essere pari ad 1/8 dell’altezza totale del corpo. Tutti questi principi vengono applicati dallo scultore nella creazione della sua opera più conosciuta: il Doriforo. In questo capolavoro dell’arte classica, infatti, possiamo riconoscere sia le proporzioni illustrate da Policleto (la testa misura esattamente 1/8 dell’altezza globale) che il principio del chiasmo (la gamba destra ed il braccio sinistro sono in tensione, mentre gli altri due arti risultano rilassati). 

Doriforo di Policleto,440 a.C.
La migliore copia marmorea dell'originale bronzeo è conservata al Museo archeologico di Napoli.


Fidia

Altra importante figura del periodo classico è quella dello scultore ateniese Fidia, che sovrintese persino ai lavori dell’Acropoli ed in particolare del Partenone, di cui aveva progettato interamente la decorazione, mentre la realizzazione è in gran parte da attribuire ai suoi allievi. Il pensiero di Fidia, secondo il quale l’arte doveva riprodurre l’ideale eterno di bellezza, salta sicuramente all’occhio quando si ammirano le sue opere, delle quali purtroppo ci son pervenute solamente delle copie. 

Frontone est del Partenone,
Dione, Afrodite e Hestia, Fidia,
447 – 432 a.C













Nessun commento:

Posta un commento