“La notte è proprio fatta per cantare”, sussurrò l’usignolo estasiato.
“No, per amare”, lo corresse le geisha sospirando.
“Macchè! Serve a combattere”, sentenziò il samurai con ruvidezza.
“Vediamo chi ha ragione”, propose l’usignolo. “Andiamocene in giro alla ventura e torniamo tra un anno in questo luogo. Ci diremo le nostre esperienze, cercando di capire”.
“Che sciocchezze! Verrò se ne avrò voglia”, brontolò il samurai, tirandosi il codino bruscamente.
“Per me va bene”, acconsentì la geisha, inchinandosi con grazia.
L’usignolo fece un trillo di saluto.
Così si separarono.
“Ho guerreggiato invano”, disse con amarezza il samurai. “In una truce notte di battaglia, mi hanno ferito la vergogna e la sconfitta. Decine di vittorie e di conquiste annientate da un’ora di sfortuna!”.
Spezzò su un sasso la spada affilata e ne gettò i monconi sul terreno.
“Il mio cuore non ride”, si lamentò la geisha, gentile e desolata. “Ho scoperto il tradimento, in una notte scura ed impietosa. Tesori di carezze e di passione sbriciolati da un attimo crudele!”.
Si strappò dai capelli il fiore di ciliegio e lo buttò nell’ acqua.
L’usignolo taceva pensieroso.
“E tu che cosa hai fatto, onorevole uccellino?”, gli domandò la geisha.
“Ho cantato ogni notte”.
“Perché tanta ostinazione?”, obiettò il samurai.
“Cantare è bello”, rispose l’usignolo.
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