Ogni volta che mi trovo ad introdurre il programma di storia
in una classe prima, pongo la stessa domanda:
“Perché
studiamo la storia?”
La risposta che ottengo è sempre
la stessa, immediata, forse anche spontanea perché sentita tante volte, ma pur
sempre piuttosto retorica:
“Per
imparare dal passato e non ripetere nel futuro errori già compiuti in altre
epoche”.
Ma alla mia domanda successiva:
“Ma
è proprio vero che l’uomo impara dal passato?”
quasi sempre arriviamo alla conclusione
che purtroppo non è così.
Eppure, io ribadisco, studiare la
storia è fondamentale, perché come scrive
Polibio (storico di lingua greca del II secolo prima di Cristo), lo studio
della storia pragmatikè (cioè delle cose che gli uomini hanno fatto; insomma la storia
politica) è kallìste paidèia (= ottima formazione per un essere umano).
Studiare la storia, dunque, serve a migliorare la nostra
vita, serve a renderci migliori. Nella tesi di Polibio, però, sono contenuti,
come dati di fondo, alcuni principi senza i quali la tesi stessa crolla.
Anzitutto l’autore, come tutti gli
antichi greci, dà per scontato che ogni essere umano voglia migliorarsi; in
secondo luogo che la paidèia sia
appunto non un accumulo di conoscenza ma un processo formativo inteso a
migliorare gli uomini; infine che trarre insegnamenti dai propri errori si può
ma è molto faticoso e in ogni caso i nostri errori possono essere molto
pericolosi per noi, perciò è preferibile trarre insegnamenti dagli errori che
sono stati fatti da altri prima di noi.
Se, però, crediamo che il passato non
ci riguardi o se crediamo che la kallìste
paidèiasia non quella che ci aiuta a migliorare ma quella che mi
insegna ad avere il successo materiale qui ed ora, allora la storia si riduce
ad una materia scolastica che si studia, quando si studia, solo per avere un
voto sulla pagella tra gli altri voti.
Ancora una domanda, a dire il vero la
più frequente obiezione che viene posta da studenti giovani:
“Perché
dobbiamo perdere tempo con i Greci, i Longobardi e i Normanni e non studiamo la
storia del Novecento, di questi ultimi anni? Quando ascoltiamo il telegiornale
non capiamo niente!”
L’obiezione è interessante.
Il programma di storia del biennio della scuola
superiore prevede lo studio delle antiche civiltà dalla Preistoria al XIV
secolo (sic!).
Come insegnante mi trovo quindi ad
affrontare non solo questo immenso programma, da svolgere in pochissime ore
settimanali, ma anche la obiezione di cui sopra.
La storia antica è, tranne rarissime
eccezioni, la più lontana dalla sensibilità e dagli interessi dei giovani,
eppure è importante comprendere che, per capire la storia recente, bisogna
partire dall’inizio, dalle origini; studiare il XX secolo senza aver affrontato
le antiche civiltà sarebbe come pretendere di costruire una casa partendo dal
terzo piano, ignorando le fondamenta e i piani inferiori.
Le civiltà antiche hanno posto le basi sociali,
politiche ed economiche del mondo di oggi, e termini nati nell’antica Atene o
nella Roma repubblicana fanno ancora parte del nostro linguaggio quotidiano.C'è
da stupirsi, allora, quando si scopre che tanti problemi di cui ogni giorno
sentiamo parlare in tv hanno in realtà origini antichissime: dal conflitto
arabo-israeliano alla crisi economica del meridione d’Italia.
Mi piace concludere questo pensiero riportando lo stralcio di una lettera inviata da Antonio Gramsci (spunto di ricerca) al figlio Delio:
Carissimo Delio,
mi sento un po' stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono fra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?
Ti abbraccio.
Antonio
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