domenica 16 novembre 2025

Potere e Libertà: da Cicerone alla Costituzione


DIALOGA CON CICERONE

Un'idea di 2000 anni fa che domina il dibattito politico di oggi

Nel fervente dibattito italiano sulle riforme costituzionali, emerge con forza un desiderio condiviso: trovare una formula per la stabilità e l'efficacia del governo. Si discute di premierato, di poteri e contrappesi, cercando di progettare un'architettura istituzionale che possa resistere alle turbolenze politiche. Eppure, le domande fondamentali al centro di questa discussione — come dividere il potere per proteggere la libertà, come bilanciare le diverse anime di una nazione per evitare la tirannia — non sono affatto nuove. Al contrario, furono esplorate con una lucidità magistrale oltre duemila anni fa da Marco Tullio Cicerone.

Nella sua opera monumentale De re publica, scritta in un periodo di profonda crisi per la Repubblica Romana, Cicerone ha analizzato la natura dello Stato ideale. Questo articolo esplorerà cinque lezioni sorprendenti e di grande impatto tratte dal suo pensiero, capaci di illuminare le nostre sfide attuali e offrire una prospettiva inedita sui dilemmi che affrontiamo oggi.

1. La "divisione dei poteri" non è quella che pensi: la differenza cruciale tra Cicerone e noi

Quando oggi parliamo di "divisione dei poteri", pensiamo quasi istintivamente al modello che abbiamo ereditato da Montesquieu, basato sulle funzioni dello Stato. Per Cicerone, invece, l'equilibrio era completamente diverso. La sua "costituzione mista" ideale, incarnata dalla Repubblica Romana, si basava su una divisione verticale tra le classi sociali, non su una separazione orizzontale tra le funzioni.

Il modello di Cicerone integrava tre elementi sociali, ognuno con una funzione precisa:

  • Elemento Monarchico: I due Consoli, che detenevano il potere esecutivo e il comando militare con lo scopo di "garantire efficacia e rapidità" nelle decisioni.
  • Elemento Aristocratico: Il Senato, composto da ex magistrati con carica a vita, la cui funzione era "garantire saggezza, esperienza, continuità" attraverso la sua autorità morale (auctoritas).
  • Elemento Democratico: Le Assemblee Popolari, che esprimevano la volontà del popolo eleggendo i magistrati e votando le leggi.

Il nostro modello moderno, invece, è strutturato per funzioni statali:

  • Legislativo: Il potere di fare le leggi (Parlamento).
  • Esecutivo: Il potere di governare (Governo).
  • Giudiziario: Il potere di amministrare la giustizia (Magistratura).

Questa distinzione è fondamentale. Cicerone cercava un equilibrio tra ceti per prevenire la guerra civile, il più grande terrore del mondo antico. Montesquieu, secoli dopo, adattò brillantemente quel principio per prevenire l'assolutismo monarchico, concentrandosi sulle funzioni del potere. La stessa idea — dividere il potere per limitarlo — fu riadattata per una realtà politica completamente nuova.

2. Concordia o Conflitto? Il dilemma che Machiavelli pose a Cicerone (e a tutti noi)

Per Cicerone, lo scopo ultimo della costituzione mista era la concordia ordinum, un'armonia tra le diverse componenti sociali. L'equilibrio tra consoli, senato e popolo doveva produrre stabilità e neutralizzare i conflitti interni, considerati il seme della rovina di ogni Stato. La moderazione e la collaborazione erano le virtù supreme.

Secoli dopo, Niccolò Machiavelli, un altro grande ammiratore della Repubblica Romana, rovesciò questa prospettiva con un'intuizione radicale. Nei suoi Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Machiavelli sostenne che la grandezza e la libertà di Roma non nacquero dall'armonia, ma proprio dal conflitto istituzionalizzato tra il Senato (i "grandi") e la plebe (rappresentata dai Tribuni).

"In ogni repubblica sono due umori diversi, quello del popolo e quello de' grandi; e tutte le leggi che si fanno in favore della libertà, nascono dalla disunione loro."

Questa è una delle domande più profonde della filosofia politica. Una democrazia sana prospera grazie al consenso, come credeva Cicerone, oppure il vero motore della libertà è un conflitto gestito e produttivo tra interessi contrapposti, come sosteneva Machiavelli? La vera sfida, forse, non è scegliere tra concordia e conflitto, ma capire come un sistema democratico possa bilanciare la necessità di una cornice di concordia ciceroniana con l'indispensabile presenza di canali istituzionali per il conflitto machiavelliano.

3. Il più grande difetto delle democrazie moderne? I Romani lo avevano già evitato

Uno dei problemi strutturali più critici di molti sistemi parlamentari moderni, incluso quello italiano, è la cosiddetta "confusione legislativo-esecutivo". Il meccanismo è tanto semplice quanto fatale, e si sviluppa in quattro passaggi: 1) Le elezioni creano una maggioranza in Parlamento; 2) Questa stessa maggioranza esprime e sostiene il Governo; 3) Di conseguenza, il Governo e la maggioranza parlamentare sono lo stesso gruppo di persone; 4) Il risultato è che il controllo che il Parlamento dovrebbe esercitare sul Governo diventa fittizio: la maggioranza, di fatto, controlla se stessa.

Il modello della Repubblica Romana evitava intrinsecamente questa debolezza. La separazione era netta, come dimostra un confronto diretto:

  • Consoli romani: eletti direttamente dalle assemblee, indipendenti dal Senato.
  • Presidente del Consiglio italiano: dipende dalla maggioranza parlamentare.

I Consoli potevano essere consigliati, ostacolati o persino messi sotto accusa dal Senato, ma la loro legittimità non derivava da un suo voto di fiducia. Questo creava un autentico meccanismo di controllo reciproco. L'idea di poteri distinti che si frenano a vicenda è il cuore del pensiero liberale, come sintetizzato magistralmente da Montesquieu, che si ispirò proprio al modello romano:

"Perché non si possa abusare del potere, bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere freni il potere."

L'antica architettura romana, pur con tutte le sue differenze, aveva incorporato un principio di separazione che oggi, in molti sistemi parlamentari, appare indebolito, a discapito dell'equilibrio dei poteri.

4. Un capolavoro della politica fu quasi cancellato per sempre dalla storia

La storia del De re publica è tanto affascinante quanto il suo contenuto, e ci ricorda la fragilità del sapere. Scritta da Cicerone tra il 55 e il 51 a.C., durante gli spasmi della Repubblica, l'opera fu considerata un testo fondamentale per secoli, ma con la caduta dell'Impero e l'avvento del Medioevo andò quasi completamente perduta.

Per oltre mille anni, tutto ciò che rimaneva erano frammenti e il celebre finale, il Somnium Scipionis. Fu solo nel 1819 che il filologo Cardinale Angelo Mai fece una scoperta incredibile nella biblioteca dell'Abbazia di Bobbio. Trovò un manoscritto palinsesto bobbiese contenente un commento di Sant'Agostino ai Salmi. Sotto quel testo, notò delle lettere sbiadite: era un palinsesto. Un monaco, per risparmiare la costosa pergamena, aveva dilavato il testo originale di Cicerone per ricopiarci sopra il commento sacro.

Con un lavoro meticoloso, Mai riuscì a recuperare circa un quarto dell'opera originale (circa 300 pagine su una stima di 1280). Questa incredibile storia di perdita e riscoperta dimostra quanto siamo stati vicini a perdere per sempre uno dei testi fondanti del pensiero politico occidentale.

5. La vera ricompensa del politico non è il potere, ma un posto tra le stelle

Il De re publica non è solo un trattato di ingegneria costituzionale; è anche una profonda riflessione morale sul fine ultimo della politica. L'opera si conclude con uno degli episodi più celebri e suggestivi della letteratura latina: il Somnium Scipionis ("Il Sogno di Scipione"). In questo, Cicerone non inventa dal nulla, ma si inserisce in un dialogo secolare, riecheggiando e romanizzando il celebre Mito di Er, con cui Platone aveva concluso la sua Repubblica.

Nel sogno, Scipione Emiliano viene trasportato nei cieli dal suo avo, Scipione l'Africano. Da quella prospettiva cosmica, la Terra appare come un punto insignificante e le lotte umane per la gloria e il potere sembrano futili. L'Africano gli rivela allora quale sia la vera ricompensa per chi si dedica con giustizia e amore al bene della patria: non la fama terrena, ma un posto eterno e beato nel cosmo.

"a tutti coloro che hanno salvato, aiutato, accresciuto la patria, è assegnata in cielo una sede ben determinata, dove nella beatitudine possano godere di una vita eterna"

In un'epoca in cui la politica è spesso percepita come una mera lotta per il potere, la visione di Cicerone offre un potente richiamo etico. Il servizio pubblico è presentato come un dovere quasi sacro, con uno scopo trascendente che va ben oltre il successo immediato. È un monito senza tempo su quale dovrebbe essere il vero orizzonte di chi governa.

Conclusione: Il dibattito iniziato a Roma non è ancora finito

Le idee di Cicerone non sono reperti archeologici da conservare in un museo. Sono strumenti vivi, capaci di interrogare il nostro presente e di fornirci un lessico per comprendere le nostre stesse difficoltà. La ricerca di un equilibrio tra efficacia e controllo, tra stabilità e libertà, è un'impresa che ci accomuna ai Romani di duemila anni fa.

Il dilemma fondamentale torna oggi di grande attualità nel dibattito sul "premierato". La spinta verso un esecutivo più forte rappresenta una ricerca della concordia e della stabilità sognate da Cicerone, rischiando però di indebolire i canali di quel conflitto istituzionalizzato che Machiavelli considerava il vero motore della libertà? Le domande essenziali sul potere, la libertà e il dovere rimangono le stesse. Il dibattito iniziato nel foro di Roma non è ancora finito.


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