Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole (Goethe). E' questo lo scopo del blog, divagare. Divagare, quindi volare, solo tra le cose belle, siano esse le parole ben messe, i pensieri, la musica o qualsiasi altra forma di arte. Qui si ama e si coltiva la bellezza che non muore.
lunedì 29 settembre 2025
domenica 28 settembre 2025
J.L. Borges - La casa di Asterione
So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia, o di pazzia. Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole. È vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi donneschi né la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la solitudine. E troverà una casa come non ce n’è altre sulla faccia della terra. (Mente chi afferma che in Egitto ce n’è una simile.) Perfino i miei calunniatori ammettono che nella casa non c’è un solo mobile.
Un’altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c’è una porta chiusa, e aggiungere che non c’è una sola serratura? D’altronde, una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m’infondevano i volti della folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d’un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano riconosciuto. La gente pregava, fuggiva, si prosternava; alcuni si arrampicavano sullo stilobate del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre. Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare. Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole.
La verità è che sono unico. Non m’interessa ciò che un uomo può trasmettere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato attraverso l’arte della scrittura. Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetto nel mio spirito, che è atto solo al grande; non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall’altra. Un’impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere. A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi.
Certo, non mi mancano distrazioni. Come il montone che s’avventa, corro pei corridoi di pietra fino a cadere al suolo in preda alla vertigine. Mi acquatto all’ombra di una cisterna e all’angolo d’un corridoio e giuoco a rimpiattino. Ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finché resto insanguinato. In qualunque momento posso giocare a fare l’addormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesante (a volte mi addormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno è cambiato).
Ma, fra tanti giuochi, preferisco quello di un altro Asterione. Immagino ch’egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: “Adesso torniamo all’angolo di prima,” o: “Adesso sbocchiamo in un altro cortile,” o: “Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell’acqua,” oppure: “Ora ti faccio vedere una cisterna che s’è riempita di sabbia,” o anche: “Vedrai come si biforca la cantina”. A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi.
Ma non ho soltanto immaginato giuochi; ho anche meditato sulla casa. Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo. Tuttavia, a forza di percorrere cortili con una cisterna e polverosi corridoi di pietra grigia, raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visione notturna vi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molte volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l’intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo.
Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me?
Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.
“Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso”.
Jorge Luis Borges (1899-1986), La casa de Asterión (in El Aleph, 1949)
(Da L’Aleph, Feltrinelli 1959 — traduzione di Francesco Tentori Montalto)
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ANALISI DEL TESTO
1. Comprensione del testo
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Chi è il narratore della storia? Che sorpresa c’è alla fine?
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Come descrive Asterione la sua casa? Che impressione ti dà?
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Quali sentimenti emergono dalla vita di Asterione (noia, solitudine, speranza…)?
2. Collegamenti con il mito
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Chi è Asterione nel mito greco?
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Quali elementi del racconto rimandano direttamente alla leggenda del Minotauro?
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Perché secondo te Borges ha scelto di raccontare la vicenda dal punto di vista del Minotauro?
3. Interpretazione e riflessione
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Asterione descrive la sua solitudine come una condizione speciale, quasi privilegiata. Sei d’accordo?
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La “casa infinita” è un labirinto o un palazzo? Come la interpreteresti: prigione, universo, mente del protagonista…?
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Nel racconto Asterione attende il suo “redentore”: cosa significa secondo te?
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Alla fine, Teseo appare come un liberatore o come un assassino?
4. Creatività e attualizzazione
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Se Asterione fosse un ragazzo dei giorni nostri, come racconterebbe la sua vita in un diario o sui social?
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Asterione dice: “Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini e io li libero di ogni male”. Cosa può significare questa frase?
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Se potessi dare voce a Teseo subito dopo l’uccisione del Minotauro, cosa direbbe?
mercoledì 17 settembre 2025
Il colombre - Dino Buzzati
Quando Stefano Roí compí i dodici anni, chiese in regalo a suo padre, capitano di mare e padrone di un bel veliero, che lo portasse con sé a bordo.
«Quando sarò grande» disse «voglio andar per mare come te. E comanderò delle navi ancora piu’ belle e grandi della tua. »
« Che Dio ti benedica, figliolo » rispose il padre.
E siccome proprio quel giorno il suo bastimento doveva partire, portò il ragazzo con sé. Era una giornata splendida di sole; e il mare era tranquillo. Stefano, che non era mai stato sulla nave, girava felice in coperta, ammirando le complicate manovre delle vele. E chiedeva di questo e di quello ai marinai che, sorridendo, gli davano tutte le spiegazioni. Come fu giunto a poppa, il ragazzo si fermò, incuriosito, a osservare una cosa che spuntava a intermittenza in superficie, a distanza di due-trecento metri, in corrispondenza della scia della nave.
Benché il bastimento già volasse, portato da un magnifico vento al giardinetto, quella cosa manteneva sempre la distanza. E, sebbene egli non ne comprendesse la natura,aveva qualcosa di indefinibile, che lo attraeva intensamente.
Il padre, non vedendo Stefano piú in giro, dopo averlo chiamato a gran voce invano, scese dalla plancia e andò a cercarlo.
« Stefano, che cosa fai lí impalato? » gli chiese scorgendolo infine a poppa, in piedi, che fissava le onde.
« Papà, vieni qui a vedere. » Il padre venne e guardò anche lui nella direzione indicata dal ragazzo, ma non riuscí a vedere niente.
« C’è una cosa scura che spunta ogni tanto dalla scia » disse « e che ci viene dietro. »
« Nonostante i miei quarant’anni » disse il padre « credo di avere ancora una vista buona. Ma non vedo assolutamente niente».
Poiché il figlio insisteva, andò a prendere il cannocchiale e scrutò la superficie del mare, in corrispondenza della scia. Stefano lo vide impallidire.
« Cos’è? Perché fai quella faccia? »
« Oh, non ti avessi ascoltato » esclamò il capitano. « Io adesso temo per te. Quella cosa che tu vedi spuntare dalle acque e che ci segue, non è una cosa. Quello è un colombre. E’ il pesce che i marinai sopra tutti temono, in ogni mare del mondo. E’ uno squalo tremendo e misterioso, piú astuto dell’uomo. Per motivi che forse nessuno saprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l’ha scelta la insegue per anni e anni, per una intera vita, finché è riuscito a divorarla. E lo strano è questo: che nessuno riesce a scorgerlo se non la vittima stessa e le persone del suo stesso sangue. »
« Non è una favola? »
«No. Io non l’avevo mai visto. Ma dalle descrizioni che ho sentito fare tante volte, l’ho subito riconosciuto. Quel muso da bisonte, quella bocca che continuamente si apre e si chiude, quei denti terribili. Stefano, non c’è dubbio, purtroppo, il colombre ha scelto te e finché tu andrai per mare non ti darà pace. Ascoltami: ora noi torniamo subito a terra,tu sbarcherai e non ti staccherai mai piú dalla riva, per nessuna ragione al mondo. Me lo devi promettere. Il mestiere del mare non è per te, figliolo. Devi rassegnarti. Del resto, anche a terra potrai fare fortuna.»
Ciò detto, fece immediatamente invertire la rotta, rientrò in porto e, col pretesto di un improvviso malessere, sbarcò il figliolo. Quindi ripartí senza di lui.
Profondamente turbato, il ragazzo restò sulla riva finché l’ultimo picco dell’alberatura sprofondò dietro l’orizzonte. Di là dal molo che chiudeva il porto, il mare restò completamente deserto. Ma, aguzzando gli sguardi, Stefano riuscí a scorgere un puntino nero che affiorava a intermittenza dalle acque: il “suo” colombre, che incrociava lentamente su e giú, ostinato ad aspettarlo. Da allora il ragazzo con ogni espediente fu distolto dal desiderio del mare. Il padre lo mandò a studiare in una città dell’interno, lontana centinaia di chilometri. E per qualche tempo, distratto dal nuovo ambiente, Stefano non pensò piú al mostro marino. Tuttavia, per le vacanze estive, tornò a casa e per prima cosa. appena ebbe un minuto libero, si affrettò a raggiungere l’estremità del molo, per una specie di controllo, benché in fondo lo ritenesse superfluo. Dopo tanto tempo, il colombre, ammesso anche che tutta la storia narratagli dal padre fosse vera, aveva certo rinunciato all’assedio. Ma Stefano rimase là, attonito, col cuore che gli batteva. A distanza di due-trecento metri dal molo, nell’aperto mare, il sinistro pesce andava su e giú, lentamente, ogni tanto sollevando il muso dall’acqua e volgendolo a terra, quasi con ansia guardasse se Stefano Roi finalmente veniva. Cosí, l’idea di quella creatura nemica che lo aspettava giorno e notte divenne per Stefano una segreta ossessione. E anche nella lontana città gli capitava di svegliarsi in piena notte con inquietudine. Egli era al sicuro, sí, centinaia di chilometri lo separavano dal colombre. Eppure egli sapeva che, di là dalle montagne, di là dai boschi, di là dalle pianure, lo squalo era ad aspettarlo. E, si fosse egli trasferito pure nel piú remoto continente, ancora il colombre si sarebbe appostato nello specchio di mare piú vicino, con l’inesorabile ostinazione che hanno gli strumenti del fato.
Stefano, ch’era un ragazzo serio e volonteroso, continuò con profitto gli studi e, appena fu uomo, trovò un impiego dignitoso e rimunerativo in un emporio di quella città. Intanto il padre venne a morire per malattia, il suo magnifico veliero fu dalla vedova venduto e il figlio si trovò ad essere erede di una discreta fortuna. Il lavoro, le amicizie, gli svaghi, i primi amori: Stefano si era ormai fatto la sua vita, eppure il pensiero del colombre lo assillava come un funesto e insieme affascinante miraggio; e, passando i giorni, anziché svanire, sembrava farsi piú insistente.
Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e tranquilla, ma ancora piú grande è l’attrazione dell’abisso. Aveva appena ventidue anni Stefano, quando, salutati gli amici della città e licenziatosi dall’impiego, tornò alla città natale e comunicò alla mamma la ferma intenzione di seguire il mestiere paterno. La donna, a cui Stefano non aveva mai fatto parola del misterioso squalo, accolse con gioia la sua decisione. L’avere il figlio abbandonato il mare per la città le era sempre sembrato, in cuor suo, un tradimento alle tradizioni di famiglia.
E Stefano cominciò a navigare, dando prova di qualità marinare, di resistenza alle fatiche, di animo intrepido. Navigava, navigava, e sulla scia del suo bastimento, di giorno e di notte, con la bonaccia e con la tempesta, arrancava il colombre. Egli sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo, forse, non trovava la forza di staccarsene. E nessuno a bordo scorgeva il mostro, tranne lui.
« Non vedete niente da quella parte? » chiedeva di quando in quando ai compagni, indicando la scia.
« No, noi non vediamo proprio niente. Perché? »
« Non so. Mi pareva… »
« Non avrai mica visto per caso un colombre » facevano quelli, ridendo e toccando ferro.
« Perché ridete? Perché toccate ferro? »
« Perché il colombre è una bestia che non perdona. E se si mettesse a seguire questa nave, vorrebbe dire che uno di noi è perduto».
Ma Stefano non mollava. La ininterrotta minaccia che lo incalzava pareva anzi moltiplicare la sua volontà, la sua passione per il mare, il suo ardimento nelle ore di lotta e di pericolo. Con la piccola sostanza lasciatagli dal padre, come egli si sentí padrone del mestiere, acquistò con un socio un piccolo piroscafo da carico, quindi ne divenne il solo proprietario e, grazie a una serie di fortunate spedizioni, poté in seguito acquistare un mercantile sul serio, avviandosi a traguardi sempre piú ambiziosi. Ma i successi, e i milioni, non servivano a togliergli dall’animo quel continuo assillo; né mai, d’altra parte, egli fu tentato di vendere la nave e di ritirarsi a terra per intraprendere diverse imprese. Navigare, navigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l’impazienza di ripartire. Sapeva che fuori c’era il colombre ad aspettarlo, e che il colombre era sinonimo di rovina. Niente. Un indomabile impulso lo traeva senza requie, da un oceano all’altro.
Finché, all’improvviso, Stefano un giorno si accorse di essere diventato vecchio, vecchissimo; e nessuno intorno a lui sapeva spiegarsi perché, ricco com’era, non lasciasse finalmente la dannata vita del mare. Vecchio, e amaramente infelice, perché l’intera esistenza sua era stata spesa in quella specie di pazzesca fuga attraverso i mari, per sfuggire al nemico. Ma piú grande che le gioie di una vita agiata e tranquilla era stata per lui sempre la tentazione dell’abisso.
E una sera, mentre la sua magnifica nave era ancorata al largo dei porto dove era nato, si sentì prossimo a morire. Allora chiamò il secondo ufficiale, di cui aveva grande fiducia, e gli ingiunse di non opporsi a ciò che egli stava per fare. L’altro, sull’onore, promise.
Avuta questa assicurazione, Stefano, al secondo ufficiale che lo ascoltava sgomento, rivelò la storia del colombre, che aveva continuato a inseguirlo per quasi cinquant’anni, inutilmente.
« Mi ha scortato da un capo all’altro del mondo » disse « con una fedeltà che neppure il piú nobile amico avrebbe potuto dimostrare. Adesso io sto per morire. Anche lui, ormai, sarà terribilmente vecchio e stanco. Non posso tradirlo».
Ciò detto, prese commiato, fece calare in mare un barchino e vi sali, dopo essersi fatto dare un arpione.
« Ora gli vado incontro » annunciò. « E’ giusto che non lo deluda. Ma lotterò, con le mie ultime forze». A colpi di remi, si allontanò da bordo.
Ufficiali e marinai lo videro scomparire laggiú, sul placido mare, avvolto dalle ombre della notte. C’era in cielo una falce di luna. Non dovette faticare molto. All’improvviso il muso orribile del colombre emerse di fianco alla barca.
« Eccomi a te, finalmente » disse Stefano. « Adesso, a noi due! » E, raccogliendo le superstiti energie, alzò l’arpione per colpire.
« Uh » mugolò con voce supplichevole il colombre « che lunga strada per trovarti. Anch’io sono distrutto dalla fatica. Quanto mi hai fatto nuotare. E tu fuggivi, fuggivi. E non hai mai capito niente. »
« Perché? » fece Stefano, punto sul vivo.
« Perché non ti ho inseguito attraverso il mondo per divorarti, come pensavi. Dal re del mare avevo avuto soltanto l’incarico di consegnarti questo». E lo squalo trasse fuori la lingua, porgendo al vecchio capitano una piccola sfera fosforescente.
Stefano la prese fra le dita e guardò. Era una perla di grandezza spropositata. E lui riconobbe la famosa Perla del Mare che dà, a chi la possiede, fortuna, potenza, amore, e pace dell’animo. Ma era ormai troppo tardi.
« Ahimè! » disse scuotendo tristemente il capo. «Come è tutto sbagliato. Io sono riuscito a dannare la mia esistenza: e ho rovinato la tua.»
« Addio, pover’uomo » rispose il colombre. E sprofondò nelle acque nere per sempre.
Due mesi dopo, spinto dalla risacca, un barchino approdò a una dirupata scogliera. Fu avvistato da alcuni pescatori che, incuriositi, si avvicinarono. Sul barchino, ancora seduto, stava un bianco scheletro: e fra le ossicine delle dita stringeva un piccolo sasso rotondo.
Il colombre è un pesce di grandi dimensioni, spaventoso a vedersi, estremamente raro. A seconda dei mari, e delle genti che ne abitano le rive, viene anche chiamato kolomber, kahloubrha, kalonga, kalu-balu, chalung-gra. I naturalisti stranamente lo ignorano. Qualcuno perfino sostiene che non esiste.
Questionario di comprensione
1. Comprensione del testo
-
Chi è Stefano Roi e cosa chiede come regalo per i suoi dodici anni?
-
Che cos’è il colombre? Chi riesce a vederlo e chi no?
-
Come reagisce il padre di Stefano quando capisce che il figlio è stato scelto dal colombre?
-
In che modo Stefano trascorre la sua vita dopo aver scoperto l’esistenza del colombre?
-
Quale rivelazione fa il colombre a Stefano alla fine del racconto?
-
Che cosa rappresenta la “Perla del Mare” e che significato ha la sua consegna tardiva?
2. Analisi e interpretazione
-
Il padre di Stefano, per proteggerlo, gli impedisce di andare per mare: secondo te la sua scelta è giusta? Perché?
-
Perché Stefano, pur sapendo del colombre, non riesce a rinunciare al mare?
-
Il colombre appare come una creatura spaventosa, ma alla fine si rivela diverso da ciò che sembrava. Che valore simbolico può avere questa trasformazione?
-
Qual è, secondo te, il messaggio principale della storia?
3. Riflessione personale
-
Ti è mai capitato di temere qualcosa che poi si è rivelato innocuo o addirittura positivo? Racconta brevemente.
-
Se tu fossi stato al posto di Stefano, avresti affrontato prima il colombre o avresti fatto come lui, fuggendo per tutta la vita? Motiva la tua risposta.
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