mercoledì 21 maggio 2014

Umberto SABA, da Scorciatoie e raccontini + Eros + La città vecchia



STORIA D’ITALIA. 
Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuta, in tutta la sua storia – da Roma ad oggi – una sola vera rivoluzione ? La risposta – chiave che apre molte porte – è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani… (…) Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda) un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli.

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Gli strilli acutissimi dei bimbi in cuna … ricordano, molto da vicino, i: Presto Francia! Presto Polonia! di Adolfo Hitler.

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PATRIOTTISMO, NAZIONALISMO E RAZZISMO stanno fra loro come la salute, la nevrosi e la pazzia.

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Svevo poteva scrivere bene in tedesco; preferì scrivere male in italiano. Fu l’ultimo omaggio al fascino assimilatore della “vecchia” cultura italiana. E’ la storia dell’amore- prima della “redenzione”- di Trieste per l’Italia.

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Dio dei Tedeschi (ritratto eseguito nel 1933). Con quei baffetti sotto il naso, e quella smorfia facciale, come fiutasse sempre…un cattivo odore. E lo fiuta infatti. Non gli viene – come egli crede – dall’esterno ( da comunisti, ebrei, polacchi ed altri popoli slavi, intellettuali di destra e di sinistra, francesi degeneri, e via discorrendo… fino a comprendere tutto il mondo abitato) ma solo da lui, dal suo dentro. E’ una malattia, ma una brutta malattia; ed anche – allo stato attuale della scienza – in guaribile. Si chiama paranoia.

(Da Saba- Scorciatoie e raccontini-. Einaudi)





EROS

Sul breve palcoscenico una donna
fa, dopo il Cine, il suo numero.
                                                    Applausi, 

e scherno credo, ripetuti.
                                            In piedi, 

del loggione in un canto, un giovinetto,
mezzo spinto all’infuori, coi severi
occhi la guarda, che ogni tratto abbassa.
È fascino? È disgusto? È l’una e l’altra 

cosa? Chi sa? Forse a sua madre pensa,
pensa se questo è l’amore. I lustrini
sul gran corpo di lei, col gioco vario
delle luci l’abbagliano. E i severi 
occhi riaperti, là più non li volge.
Solo ascolta la musica, leggera
musichetta da trivio, anche a me cara
talvolta, che per lui si è fatta, dentro
l’anima sua popolana ed altera,


una marcia guerriera.



Oskar Kokoschka, Bambini che giocano, 1909

LA CITTA' VECCHIA

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore.
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.





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